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Scegliere di morire a 11 anni.

Creato il 18 novembre 2010 da Barbaragreggio
Scegliere di morire a 11 anni. Filippo ha undici anni e vive a San Martino Ulmiano. Frequenta la seconda media. Gioca a calcio nel Migliarino.La scuola media di Pontasserchio dista poco meno di 4 chilometri da San Giuliano Terme, paese della provincia di Pisa. 7 minuti se si percorre la Provinciale 30, 8 minuti se si sceglie la Statale 12.Il Migliarino è undicesimo in classifica, a parimerito con Latignano 2005 e Casteldelbosco. Ha vinto il derby con il Filettone, 3-1. Prima rete stagionale di Filippo.E' un giorno qualunque, alle 8 suona la prima campana, ci si ammassa nell'atrio, poi su, sospinti nella mischia verso il piano superiore. Gli insegnanti fanno lezione, i ragazzi ascoltano distratti, proiettati verso l'ora di pranzo.La scuola italiana è in agonia, tutti se ne lamentano da decenni. Allora oggi si sciopera, contro la Gelmini, contro i tagli, contro i soldi che non arrivano mai. I prof scendono in piazza, camminano nei cortei, sventolano le bandiere dei sindacati.I ragazzi gioiscono, senza darlo a vedere. Oggi si va casa prima, niente ultima ora, per fortuna. Nessuna interrogazione, né compito in classe.Filippo torna verso San Martino Ulmiano, una manciata di chilometri dalla scuola. A casa non c'è nessuno, a quest'ora. Cammina piano, o forse corre. Entra nella camera del fratellino, 16 mesi, e posa accanto a sé un foglio. L'avrà riscritto dieci volte, nella sua testa, quel biglietto di scuse.Sfila la cintura dai pantaloni e pensa al peso che opprime il suo petto da tempo, quel macigno che toglie il respiro e azzera i battiti nel cuore. E' giovane, Filippo, un bambino. Non sa che tutto si può risolvere, forse si sente incompreso, un po' solo. La sua mamma e il suo papà non vivono insieme, il suo piccolo guscio si è spezzato e lui non sa come aggiustarlo.E' dura fare i conti con il dolore quando sei un bambino, quando il dolore non sai ancora gestirlo e ti senti senza forze. Guardi avanti e il futuro non lo vedi. Vivi come tutti gli altri, vai a scuola, giochi a pallone, fai gol, esulti per la vittoria. In classe stropicci gli occhi alla prima ora, conti i minuti per le campanelle, speri che il prof si dimentichi di te e non ti interroghi. Poi, però, ti ricordi di quella lacerazione che sbriciola i tuoi pensieri, di quella fitta che ti stringe il cuore e spinge le tue spalle verso il basso. E' tutto difficile, troppo. Cerchi aiuto, ma non sai chiederlo nel modo giusto. Hai la sensazione che nessuno ti possa capire e ti chiudi sempre più nel tuo piccolo male di vivere. E quel male cresce, si gonfia, scivola dai polsi per poi rientrare in circolo. Sei piccolo, ma anche grande. Sei in quell'età di mezzo che sconvolge i sensi e destabilizza.Allora non sai come fare, vorresti urlare ma non hai la voce per farlo. Hai paura del domani, di te stesso, degli altri che diventano sempre più altro.E così finisci per compiere un gesto più grande di te.Filippo ha infilato un estremo della cintura tra le sbarre del lettino del fratello, figlio di sua mamma e del suo nuovo compagno, e ha fatto scivolare l'altro sulla sua gola.Aveva undici anni, e ora non c'è più.Nessuno sa spiegarselo, il perché.L'uomo non sa più ascoltare, si è fatto incapace di guardare con disinteresse. L'uomo è accecato dall'amor proprio, dalla paura di fallire, dalla sete di potere.I ragazzi crescono all'ombra di famiglie assenti, impegnate a raccimolare denaro, a scalare gradini. Troppo spesso si sentono soli, i nostri figli. E noi? Noi li ascoltiamo a tratti, senza convizione, spazientiti. Dobbiamo lavorare, fare i soldi, comprare case e auto di lusso. I bambini non hanno chiesto nulla, a noi genitori. Non ci chiedono loro di nascere, siamo noi a metterli al mondo. Abbiamo delle responsabilità nei loro confronti, dobbiamo fare il massimo per insegnar loro a vivere onestamente, senza paure e con dignità. Ecco, però, che scatta un meccanismo subdolo, figlio di questi nostri tempi sbiaditi. L'invidia, la frustrazione, il diniego. Un figlio toglie spazio, ruba attenzione, distrae dagli impegni sociali. Un bambino ti fagocita, annienta la tua persona, ti toglie il sonno. Se non lo sai educare.Un figlio, in realtà, accresce i genitori, li rende delle persone migliori, meno intimorite dal futuro, capaci di sacrificare il superfluo per amore. Il mondo sgretolato va ricomposto, a partire dal nucleo famigliare, centro della vita. Il resto cambia, tutto scorre, si modifica, invecchia e perisce. Un figlio non è uno status symbol, un figlio è una persona che va rispettata e ascoltata.Tanti ragazzi, come Filippo, si sentono sul bordo di un precipizio. Alcuni indietreggiano e si salvano, altri scivolano giù. Noi genitori dobbiamo scalare la montagna al fianco dei nostri figli, e tendere loro la mano, quando il burrone si avvicina.Filippo è caduto, scivolato nel suo dolore a 11 anni, un mercoledì di metà novembre. Ha chiesto scusa, lui, che non aveva nessuna colpa.Barbara Greggio

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