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Schegge

Da Miwako


La vedo da dietro un vetro.Bellissima, come sempre, forse più del solito.Ma ho un debole per quel suo viso diafano, l'ho sempre trovata di una bellezza sconvolgente.Il caschetto in fiamme, marchio di fabbrica; gli occhi artici, come vetri in frantumi incastonati in quel volto color alabastro; il sorriso a fior di labbra, rosse pure quelle.Lei non mi vede, trincerata dietro la consolle e quel muro di musica che la porta lontano. E' la prima volta che la sento suonare, anche se lo fa già da un pezzo.Entro.Passo gli sconosciuti danzanti, saluto gente inconsistente, le arrivo vicino e non riesco a dire niente per i primi due minuti; sembra annegare nella musica, mentre si dimena con le dita fuse con il mixer, ed io non ho il coraggio di tirarla fuori. Un attimo prima di urlare il suo nome mi chiedo se sia sempre così ubriaca quando suona. Probabilmente si. Urlo più forte. Lei alza gli occhi, ride incredula mentre indietreggia abbassandosi le cuffie, si avvicina e mi si getta tra le braccia. Ride tanto, ad occhi chiusi, con la testa appoggiata al mio sterno. Parla in maniera leggermente sconnessa, strascicata.  - Sei sempre tu - , mi dice mentre la scia incandescente delle sue labbra rimane impressa sulla mia guancia insieme a tutta la tenerezza che mi fa.Le sorrido, senza riuscire a dire molto in mezzo a quel casino, le allungo una caramella alla menta e mi allontano per fumare.Lei torna ad annegare nella sua musica, io parlo con M. di com'è andata la performance e rivedo persone che, per un po' avevo perso di vista. Molti di loro sono approdati qui come me, soli, una manciata d'anni fa. Mi fa impressione appurare come loro si siano integrati al punto da non volersene più andare, mentre io mi sia sempre sentita una nota a margine di questa città in cui e su cui tante parole sono state dette. Non è il mio posto, penso per l'ennesima volta.Rivedo anche il filosofo. Ci fumiamo l'ennesima discussione, su sesso e cultura, sesso e psicologia, sesso e uomini, sesso e donne. Lui è brillo, gli altri ubriachi, io irrimediabilmente sobria. Come sempre, il Filosofo ed io ci intendiamo alla perfezione. M. esce, cambiata e rivestita; scegliamo una panchina a caso e iniziamo a parlare, è troppo che non ci vediamo. Vorrei dirle mille cose, ma non è il momento, ingoio. Qualcuno, pochi metri più in là, inciampa in una sedia e per poco non cade. Riconosco la risata contagiosa, stagliarsi netta contro il ciarlare anonimo. Barcollano, lei e il suo caschetto in fiamme. Dopo essersi avvicinata ancora un po' , si lascia cadere su un divano occupato. Alterata, da una di quelle sbornie che sicuramente ricorderà, la osservo con una sottile apprensione. Prende forma sempre lì, all'altezza del cuore, quella specie di grumo di cose che spero essere solo un'impressione fugace ed immotivata. La fragilità con cui per la prima volta mi appare mi lascia senza fiato. Non avevo mai pensato a lei come ad una persona di cristallo. E mentre ride e parla in continuazione, la sensazione diventa sempre più netta. Mi fa quasi paura percepire lo stridere dei violini dietro quei denti bianchissimi ostinatamente schierati in assoluta sincerità. - Non ti sei ancora laureata? 'Ndiamo che l'è l'ora! Lasciatela alle spalle, è ora di scrivere. E' questo che devi fare, scrivere. Io e te ci si vede poco, ma il mio radar funziona bene.Si indica il cuore mentre lo dice, e poi prosegue:- Da quanto ci si conosce io e te? Un po', e se c'è una cosa che ho sempre pensato di te è che devi scrivere. Non ridere, non sono mai stata più seria. Scrivi porca puttana. Devi scrivere.Le parole mi si sbriciolano in bocca. Lei ed io, negli ultimi 3 anni ci saremmo parlate 5 volte. Sentite, mai. So per certo di non aver menzionato la piega delle mie aspirazioni in questi ultimi anni. E c'è pure da dire che la nostra conoscenza non ha mai superato una certa soglia, per contingenze più che per mancanza di affinità. Che ne sa lei?Come diavolo ha fatto? A leggermi dentro fino a dove ancora non ho scritto? Lo sa anche il cane che voglio scrivere, non è propriamente questo il punto. Sono le parole che ha usato, parole che non riesco neppure a ricordare esattamente per come sembrava me le avesse strappate di petto prima ancora che potessero diventare tali. Una radiografia in trenta secondi, crivellata di pensieri che credevo impercepibili ad occhio umano, ad occhio nudo.Arriva F. "Vieni, su, ho smontato la roba da mezzora. Si va a ballare", riesce a convincerla, lei si alza incerta e se ne va. Prima di farlo si volta e mi chiama. Con la semplicità con cui aprirebbe una finestra, si fa spazio tra i miei occhi e mi dice "Intesi, Miw?". Annuisco sorridendo, abbasso lo sguardo e vedo un mignolo in attesa a mezz'aria. Aspetta il mio. Come due bambine, li intrecciamo, affidando loro una promessa senza nemmeno ci sia il bisogno di dire una parola.E ci salutiamo così, senza sapere se e quando ci rivedremo, senza che la cosa di per sè abbia alcun significato.Saluto M., il Filosofo, e me ne vado con i frammenti di vetro dei suoi occhi ancora nei miei. Puntano al cuore.Cammino verso casa, sola, con la musica talmente alta da non sentire nemmeno il rumore dei miei passi, delle auto, dei passanti. Penso che ce la metterò tutta. Ce l'avrei messa tutta in ogni caso, è davvero quello che voglio. Ma quando ci saranno momenti bui (e ci saranno), penserò alle sue parole. Lascio qualche post- it sul cuore sacro, li appendo al muro con le schegge dei suoi occhi, così non rischio di perderli, di perdermi.

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