Schiavitù sessuale nei Paesi Bassi

Da Consumabili
Riporto la traduzione, a cura di Maria Rossi che ringrazio, di un articolo pubblicato da Le Monde alla fine del 2011 sulla situazione dell'industria della prostituzione nei Paesi Bassi, paese in cui dal 2000 sono stati depenalizzati i proprietari di bordelli che possono assumere anche personale dipendente. L'articolo riassume a sua volta un pezzo pubblicato sul quotidiano progressista di Amstardam Volskrant dal titolo "La legalizzazione della prostituzione è una copertura per la schiavitù sessuale".Trovo sia importante riportare anche ciò che si dice all'estero, perché qui in Italia è molto radicata la pericolosa e superficiale convinzione che la ricetta magica per combattere la tratta sarebbe la regolamentazione della prostituzione così come avvenuta in Olanda, Germania, Svizzera, Nuova Zelanda, Australia,ecc..  Non così all'estero, dove c'è una differente consapevolezza dell'enorme potere e capacità di penetrazione delle mafie transnazionali. Pubblicherò in seguito altre testimonianze e contributi su questi paesi che ho incontrato nel mio approfondimento.
   Gli Olandesi cominciano a pentirsi della legalizzazione della prostituzione
   Jean-Pierre Stroobants
  Le Monde

La Svezia e la Norvegia puniscono, il Belgio tollera, la Francia discute. E i Paesi Bassi? Si pentono. Undici anni dopo aver svolto il ruolo di pionieri, legalizzando il lavoro sessuale - vale a dire la prostituzione - , essi evocano un flop generale. E' l'espressione impiegata recentemente da Evelien Tonkens, sociologa all'Università di Amsterdam e cronista del Volkskrant, il quotidiano progressista di Amsterdam. In un testo molto importante, questa docente universitaria di sinistra passava al setaccio  tutti coloro che si erano battuti per una legislazione che non ha risolto niente. Vale a dire,  i circoli liberali, che speravano di combattere l'influenza dei gruppi mafiosi, e le rappresentanti della corrente femminista, che propugnavano la libertà di scelta per ciascuna donna.

Oggi, dal 50% al 90% delle "lavoratrici" attive dietro le vetrine e nelle "sale massaggi" sono costrette a prostituirsi. E nel quartiere De Wallen, la celebre "zona rossa" di Amsterdam, solo il 2%   di qualcosa come 6000 prostitute ha dichiarato di amare il proprio lavoro, ha rivelato un'inchiesta. Molte donne originarie dell'Africa, dell'Europa dell'Est e dell'Asia si vedono sempre confiscare il passaporto all'arrivo e sono costrette a liberarsi dalla schiavitù in cambio di qualcosa come 2000 euro al mese per le più fortunate. Uno sfruttatore della prostituzione guadagnerebbe in media 500.000 euro all'anno mantenendo più donne sotto il suo controllo.
La buona coscienza delle autorità olandesi era sino ad ora confortata da una disposizione legislativa: un cliente che nota che una donna lavora coercitivamente  può denunciare anonimamente la sua situazione alla polizia. Un altro flop: De Wallen vede sfilare ogni anno 220.000 consumatori di sesso, ma il numero delle segnalazioni non supera qualche decina, perché la maggior parte delle prostitute non si confida. La nuova generazione  dei rappresentanti politici di sinistra, di cui fa parte Lodewijk Asscher, il sindaco di Amsterdam, ritiene che la politica della legalizzazione abbia fallito. E' stato commesso, dice, un errore nazionale. Altri responsabili denunciano lo scacco di una politica che fu ispirata dal timore del moralismo così come dal concetto di libertà individuale. "La legalizzazione mostra, soprattutto, come, qui, la libertà ha deviato [significato]  e non è che un alibi della schiavitù", spiega Evelien Tonkens.
Lodewijk Asscher  invoca la penalizzazione dei clienti e critica la debolezza di una proposta di riforma in discussione che mira soltanto ad un miglior controllo del settore del lavoro sessuale. Infine, è contestata la politica della città di Amsterdam che mira a riscattare immobili del quartiere di De Wallen per ostacolare l'attività dei gruppi criminali. Il progetto incontra un successo limitato e la Corte dei Conti ha formulato delle obiezioni.

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