Schifani o qualcosa di simile: il presidente Mafia e genuflessioni - Il Fatto della Settimana

Creato il 14 luglio 2012 da Matteviola90
Finalmente il Partito democratico riscopre chi è lo Schifani che per anni ha incensato, manco fosse De Gasperi, Churchill o Roosvelt. Ce n'è voluto di tempo: quando il siciliano venne eletto alla presidenza del Senato, dai banchi del Pd (che aveva contribuito alla sua elezione astenendosi dalla votazione) si levarono applausi e messaggi di felicitazioni. Addirittura, Angela Finocchiaro (capogruppo del Pd al Senato) gli corse incontro per abbracciarlo e baciarlo. Da quel 29 aprile 2008, Schifani è divenuto il mito bipartisan. In quel di Palazzo Madama, si narra che il presidente del Senato fermasse le “dure” litigate tra PdL, Pd e Udc con la sola imposizione delle mani. Ovviamente guai a nominarlo (non troppo) invano: quando, durante la trasmissione “Che tempo che fa”, Marco Travaglio menzionò le amicizie mafiose di Schifani, quasi tutti i partiti si scagliarono contro di lui, Pd in primis. Ma la scorsa settimana, qualcosa è cambiato. La casus belli è stata la rimozione di Amato (PdL) dalla Commissione di vigilanza. Il senatore pidiellino avrebbe votato contro ai diktat di partito (durante l'elezione del CdA Rai) e quindi ZACK: il presidente del Senato, sfruttando poteri (in teoria) utilizzabili in contesti diversi, ha rimosso dall'incarico Amato, sostituendolo. Il fattaccio ha fatto risvegliare da un lungo sonno il Pd, che, finalmente, con qualche anno di ritardo, ha scoperto che Schifani non sa cosa siano autonomia e imparzialità. Ma il partito di centro-sinistra, che si arrabbia quando viene accusato di non essersi opposto seriamente al Governo Berlusconi IV, dov'era in questi anni? Perché per capire che Schifani non era un santo laico, non importava aspettare il “golpetto” ad aziendam. Se una persona normale pensasse a tutto quello che la Magistratura italiana ha scoperto su di lui, sicuramente non riuscirebbe a capire come il Pd abbia potuto incensarlo anche per un solo secondo. Facciamo finta di credere che il Partito democratico abbia la memoria corta e ricordiamogli chi è Renato Schifani con una breve biografia. Dopo essersi laureato, nel 1979, il Siciliano entra in società nella Sicula Broker, compagnia di assicurazioni palermitana. Nel periodo in questione, fra i soci della Sicula possiamo trovare: Giuseppe Lombardo, amministratore di alcune società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, condannati per reati mafiosi ed arrestati nel 1984 da Falcone; Benny D'Agostino: all'epoca incensurato, ma ha sempre ammesso di essere amico del boss Michele Greco. Adesso D'Agostino è in galera, dove sta scontando una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa; Nino Mandalà: a differenza degli altri rappresentava la Mafia in prima persona, in quanto era il capomandamento di Villabate. Mandalà è stato uno dei maggiori favoreggiatori della latitanza di Bernardo Provenzano ed è stato condannato per associazione mafiosa. Nel 1980 Schifani abbandona la Sicula ed inizia la carriera da avvocato. Nel corso degli anni prende le difese di personaggi importanti per Cosa Nostra, quali: Giovanni Bontate, fratello di Stefano Bontate (il famoso boss-massone, che dette l'ok per mandare Mangano ad Arcore), persona molto legata a B. e Dell'Utri; Domenico Federico, socio in affari del suddetto Bontate; Ludovico Bisconti, un boss imprenditore; Pietro Lo Sicco, costruttore condannato per Mafia nel 2008, famoso per essersi scontrato a più riprese con le sorelle Pilliu, conosciute a Palermo per essere state le ultime persone ad incontrare Paolo Borsellino. Le sorelle si lamentarono con il giudice della costruzione (realizzata da Lo Sicco) di un edificio in via D'Amelio, che minacciava la solidità della loro abitazione. Le Pilliu, inoltre, si lamentarono con Borsellino per la prepotenza di Lo Sicco. Proprio in questo periodo (1983) nasce il rapporto tra Dell'Utri e Schifani: ben presto l'avvocato siciliano diventa il punto di contatto tra i fratelli Graviano (gli ideatori e gli esecutori delle stragi del 1992-1993, secondo la Magistratura, compiute per accelerare la nascita di Forza Italia) e Berlusconi. In questo periodo, l'avvocato siciliano fa la spola tra Palermo e Milano ed è considerato, da chi lo conosce, il contabile del Cavaliere. Nel 1990 Renatino, già famoso come avvocato cassazionista, diventa avvocato urbanista. Nel 1993 viene assunto come consulente per l'urbanistica e per il piano regolatore dal Comune di Villabate (feudo mafioso, come vedremo tra poco). Dal 1996 in poi, Schifani viene indagato 4 volte dalla Procura di Palermo, perché emergono degli elementi che fanno pensare ad un suo coinvolgimento in attività mafiose, nel periodo che va dal 1993 in poi. Per tre volte la Procura chiede l'archiviazione. Archiviare non significa assolvere: i pm chiedono l'archiviazione di un caso, quando credono che non ci siano i presupposti per chiedere il rinvio a giudizio (per evitare il principio del ne bis in idem), ma pensano che prima o poi vengano fuori nuove prove che facciano cambiare le cose. Se queste saltano fuori, la Procura riscrive nel registro degli indagati la persona che era stata archiviata, dopodiché, fatte le dovute indagini, può chiedere il rinvio a giudizio o archiviare di nuovo. Schifani viene indagato per la prima volta dalla Procura di Palermo nel 1996, dopo il pentimento di Salvatore Lanzalaco, ingegnere palermitano che si occupa di appalti pubblici. Lanzalaco è molto vicino al re degli appalti Angelo Siino, che impropriamente potremmo definire il “ministro dei lavoro pubblici di Cosa Nostra”, in quanto rappresenta la Mafia al tavolo delle spartizioni degli appalti. L'ingengere palermitano confessa al pm Gaspare Sturzo la storia dell'appalto per la metanizzazione del Comune di Palermo, una gara da 140 miliardi di Lire vinta da un'associazione temporanea di ditte (Saipem di Milano, Bonatti di Parma, Mediterranea Costruzioni srl di Roma, Consorzio Emiliano Romagnolo), capeggiate dalla Saipem (del gruppo Eni). Secondo Lanzalaco la gara era falsata, truccata da un giro impressionante di tangenti. In Sicilia, le mazzette non vengono pagate solo ai politici: infatti questi mettono a disposizioni i soldi per l'appalto, le imprese si accordano su come dividere i lavori e mediante subappalti concessi alle imprese di Cosa Nostra (o collegate ad essa), pagano la tangente dovuta alla Mafia. La mazzetta che in questo caso viene pagata a Cosa Nostra (ed a un suo socio) ammonta all'1,5% di quei 140 miliardi suddetti. Lanzalaco poi fornisce nuovi particolari al pm Sturzo: racconta di essere andato a Parma per parlare con l'impresa Bonatti (la quale avrebbe dovuto subappaltare i lavori alle imprese mafiose) ed avere incontrato a più riprese Schifani, il quale era “a conoscenza di tutte le fasi illecite di gestione della gara e mi risulta che fosse molto inserito fra i consulenti del Comune di Palermo (riprendendo testualmente le parole di Lanzalaco, ndr)”. L'attuale presidente del Senato viene quindi iscritto nel registro degli indagati per associazione mafiosa, il 13 marzo del 1996. Nel marzo del 1998 la Procura dispone l'archiviazione per decorrenza dei termini. Poco dopo però, arriva il rapporto del GICO della Guardia di Finanza (rapporto richiesto già da tempo dalla Procura di Palermo) e visti i contenuti, la Procura riscrive Schifani nel registro degli indagati. Il rapporto del GICO definisce con esattezza il rapporto imprenditori-Mafia-politici. Per esempio, si scopre che i subappalti per il Movimento Terra li ottengono ditte che fanno capo al cugino del boss (ora collaboratore di giustizia) Salvatore Cancemi, Vincenzo Cancemi, ed una società di proprietà di Vito Buscemi, arrestato per Mafia. Tra l'altro in questo periodo, Buscemi vive nel Palazzo di via D'Amelio costruito da una cooperativa che vedeva tra i suoi soci (oltre allo stesso Buscemi) Schifani. La Guardia di Finanza va anche a controllare se Schifani ha viaggiato tra Palermo e Parma, scoprendo alcuni voli tra il Capoluogo siciliano e Bologna (punto di partenza per arrivare a Parma), nelle date indicate da Lanzalaco. Nel 1999 però, le prove non sono ancora sufficienti per chiedere il rinvio a giudizio e la Procura è costretta a chiedere di nuovo l'archiviazione. Dopo poco però l'attuale presidente del Senato viene nuovamente indagato per associazione mafiosa e per altri nove reati (tra i quali concorso in corruzione, concussione ecc ecc), perché vengono scoperti nuovi elementi. Il 2 marzo del 2002 però, non essendoci ancora una volta elementi utili per ottenere il rinvio a giudizio, la Procura chiede l'archiviazione per Schifani, mentre arresta la maggior parte dei personaggi coinvolti nell'indagine, per bancarotta aggravata dal favoreggiamento alla mafia. Successivamente però nuovi collaboratori di giustizia tirano in ballo l'attuale presidente del Senato: fra questi possiamo citare Gaspare Spatuzza (chiamato “killer di Brancaccio”) e Francesco Campanella (politico dell'Udeur, è colui che procurò i documenti falsi a Provenzano, quando andò ad operarsi in Francia). Campanella afferma che Schifani lavorò per il Comune di Villabate, grazie alla spinta dell'ex-socio Enrico La Loggia e nel suo lavoro di consulente cambiò il piano regolatore a seconda delle esigenze della cosca di Nino Mandalà (anche lui suo ex-socio): in particolare il collaboratore di giustizia spiega che il clan di Villabate aveva forti interessi nel centro storico e nelle cooperative edilizie e Schifani si mosse per soddisfare le esigenze di Mandalà e famiglia. Campanella aggiunge poi che il Sindaco del Comune di Villabate, Giuseppe Navetta, era un prestanome del clan. Il pentito ex-Udeur è venuto a conoscenza di tutte queste informazioni quando era presidente del Consiglio comunale di Villabate: le sue parole trovano riscontro, visto che il Comune è stato sciolto per due volte, causa infiltrazioni mafiose. Poi ci sono le parole di Spatuzza, il quale tira in ballo Schifani dicendo di averlo visto in un capannone industriale di proprietà della Valtras, società dell'allora suo cliente Pippo Cosenza. Il capannone, sempre secondo il killer di Brancaccio, era frequentato quotidianamente da Filippo Graviano. Infine, grazie ad un'intercettazione ambientale, la Procura di Palermo ha scoperto un dialogo tra gli imprenditori Giovanni Li Causi (arrestato per mafia) e Franco Conti, nel quale il primo parla di un'impresa di pulizie, controllata dai fratelli Graviano, che riesce a vincere tutti gli appalti grazie all'appoggio politico di un certo “Schifano”. Per le parole di questi collaboratori di Giustizia, Schifani è tuttora indagato dalla Procura di Palermo, sotto il nome “Schioperatu”, per concorso esterno in associazione mafiosa. L'indagine è coordinata dai Procuratori aggiunti Antonio Ingroia e Ignazio Di Francisci e dai pm Nino di Matteo e Lia Sava: questi hanno deciso di indagare il presidente del Senato sotto falso nome per evitare la fuga di notizie. Borsellino, in un celebre discorso, disse che dobbiamo “non soltanto essere onesti”, ma anche “apparire onesti”. Comunque vada a finire l'indagine su Schioperatu, le amicizie mafiose del presidente del Senato nessuno può cancellarle. La Procura dovrà provare se Schifani è onesto o meno, ma sicuramente non “appare onesto”. E questo signore è la seconda Carica dello Stato: Schifani, o qualcosa di simile... Simone Ferrali

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