Schopenhauer
9 dicembre 2013 di Dino Licci
1855: Arthur Schopenhauer in un dipinto di Jules Lunteschütz (1822–1893)
Se dovessimo giudicare Schopenhauer dalla sua vita privata, dovremmo considerarlo solo come un povero misantropo che viveva rinchiuso nella sua nevrosi, un sorta di mania persecutoria che gli faceva vedere nemici dappertutto. Non si fidava di nessuno ed era tanto geniale quanto invidioso. Hegel era il bersaglio preferito delle sue invettive, quell’Hegel che cercò d’imbrigliare il trascendente nel razionale, quell’ Hegel che predicava una sorta di monismo panteistico, che faceva coincidere lo spirito assoluto con il mondo finito. Insomma mentre Kant ed a ragione secondo me, nella “Critica della ragion pura”pone dei limiti alle nostre conoscenze sensoriali prefigurando l’esistenza di un “trascendente” (noumeno), che i nostri sensi non possono esplorare, Hegel, con una grandiosa quanto inaudita teoria, cercava di porre sullo stesso piano, finito e infinito sostenendo che il mondo non è altro che la manifestazione e realizzazione dell’infinito perché ciò che è reale è razionale e ciò che è razionale è reale. Troppo complesso il discorso per poterlo imbrigliare in una sola paginetta, ma il pensiero hegeliano ci serve per capire perché Schopenhauer lo contestava essendo quest’ultimo un fedele sostenitore delle idee kantiane. Schopenhauer però mostrò da subito il suo spirito pessimistico descrivendo la natura come :
“il teatro di una lotta feroce in cui la volontà di vivere divora perennemente se stessa”.
In un certo senso egli precorre le idee di Darwin e dello stessoNietzsche, secondo i quali ogni creatura vivente lotta per la sopravvivenza. Ma secondo il grande biologo non c’è niente di allarmante in questa lotta che porta alla selezione degli individui più congeniali alla continuità delle specie, che si evolvono migliorandosi. E secondo Nietzsche solo i migliori dovranno emergere elaborando quella teoria del superuomo che trarrà in inganno la mente malata di Hitler.
Schopenhauer no. Egli vede in questa “Volontà di vivere” un’energia o un impulso inconscio che ci spinge ad agire e a combattere per la sopravvivenza portandosi dietro, come effetto collaterale, una sofferenza globale dovuta al fatto che questa sua volontà di vivere lo porta a desiderare l’ appagamento dei suoi bisogni e il desiderio appagato al subentrare immediato di un desiderio nuovo.
Insomma l’uomo sarebbe costantemente insoddisfatto e la vita umana, secondo lui, è solo dolore e sofferenza perché anche il piacere, dato dalla soddisfazione di un desiderio, è solo temporaneo mentre il dolore è una condizione permanente della vita.
E quand’anche lo stimolo del desiderio venisse meno, insorgerebbe la noia che fa emergere un senso di vuoto e il sentimento dell’infelicità.
Per uscire da questa infelicità egli indica tre strade:
1)L’arte in tutte le sue espressioni ma soprattutto musicali;
2)L’etica intesa come compassione verso il prossimo anche se egli non ebbe mai compassione per nessuno durante tutta la sua vita;
3)l’ascesi, che nasce dall’orrore per l’umanità e che è intesa come l’unica vera tecnica in grado di liberare l’uomo dalla volontà di vivere e che s’identifica col nirvana buddista ma tende al nulla, alla non volontà, alla “Noluntas”che è diverso dal niente, in quanto è la negazione del mondo stesso da lui considerato il peggiore dei mondi possibili.
Invece Leibniz vedeva questo come il migliore dei mondi possibili. Per lui il mondo era fatto da monadi che esistevano grazie a un orologiaio creatore che regolava il tutto. Un orologio per ogni monade, creature senza finestre manovrate da un creatore che racchiudeva in sé “l’armonia prestabilita”. Secondo lui un cane che riceve una percossa, guaisce subito dopo non già come effetto del dolore provato, ma perché era già prestabilito che si dolesse in quel preciso momento. Mah! Come se la vista di una bella donna mi provocasse una reazione emotiva indipendentemente dal suo aspetto ma solo perché il Creatore aveva già stabilito che io in quel preciso momento reagissi in quel modo. E non possiamo neanche ridere troppo di queste strampalate teorie perché è proprio all’ingegno di Leibniz che dobbiamo in larga misura l’esistenza oggi di questi computers che tanto allargano i nostri orizzonti. E a chi gli faceva notare la complessità di una tale visione della vita, egli rispondeva che la capacità di regolare con tanta precisione i cambiamenti delle monadi e delle loro apparenti interazioni con una tale precisione matematica, altro non era se non la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Ma come al solito c’era chi la pensava esattamente in maniera opposta perché , se egli asseriva che questo era il miglior mondo possibile, come abbiamo visto Schopenhauer replicava che questo è il peggiore dei mondi possibili, opinione condivisa da Voltaire ma con altre e ben più razionali argomentazioni.