Negli USA il lockout della NBA ha prodotto una piccola emorragia di giocatori verso il vecchio continente ma voci di corridoio danno per scontato che il campionato più spettacolare del mondo riprenderà a cavallo tra dicembre e gennaio. La parola lockout significa sciopero, serrata, chiusura momentanea di tutte le attività agonistiche e associare questo termine ad un mondo come quello NBA laddove le cifre che girano sono vertiginose, lascia alquanto perplessi.
David Stern, il “boss” della NBA a detta di molti non è un grande uomo d’affari ne tanomeno un manager pronto a sfoderare il proprio carisma per smobilitare una volta per sempre questo “salary cap” che pesa come una montagna sopra le teste dei proprietari delle franchigie. La divisione degli utili è la causa maggiore di questo sciopero ma la domanda sorge spontanea: chi ha il diritto di proclamare una serrata cosi inaudita? La risposta va vista in chiave generale in quanto i pretendenti sono molti: associazione giocatori, arbitri e dirigenti; tutti insieme appassionatamente ma il gioco non varrà cosi tanto la candela.
I grandi proprietari vorrebbero rivoluzionare il salary cap, tagliando i contratti in modo radicale, soprattutto le parti garantite e quelli delle stelle che sarebbero portati ad un livello più consono, in modo da far si che una franchigia diventi un affare redditizio e non solo uno spreco di soldi visto che i dati raccolti e diffusi recitano perdite per un totale di 370 milioni di dollari negli ultimi anni. Va da sé che l’associazione giocatori non è assolutamente d’accordo a cambiare quelle stesse regole che hanno garantito salari decisamente gonfiati. Da circa un anno le diverse parti stanno attraversando una fase di stand-by, ma la sensazione è che si vada decisamente al muro contro muro. Una delle partite più importanti di sempre, che detterà le scelte strategiche future dell’intero business fondato sulla palla a spicchi made in USA, è ancora in fase di svolgimento e ormai volge al termine senza che nessuna delle parti possa dichiararsi vincitrice. Agli stipendi dei giocatori al momento è destinato il 57% dei ricavi della lega, percentuale che i proprietari vorrebbero ridurre introducendo anche un sistema di tetto salariale più rigido che limiti il monte totale degli stipendi. I proprietari hanno già abbandonato l’idea di ridurre le parti garantite dei contratti, ma ora si aspettano qualcosa in cambio. I giocatori comunque sono pronti a tagliarsi gli stipendi, ma non di 750-800 milioni di dollari, come vorrebbero i proprietari, motivati dal fatto che 22 delle 30 squadre della lega hanno perso soldi nella passata stagione.
Dopo il baseball e l’hockey su ghiaccio anche il basket americano si ferma con una data da destinarsi e molti free-agent senza contratto e molti nomi noti finiranno in club importantissimi ma mai cosi cospicui come negli States.
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