Drappelli fuori dall’aeroporto, persone arrabbiate, con cartelli e megafoni. Ultimo di una serie di scioperi che interessano quotidianamente il sud dell’Europa? No. Stiamo parlando della Germania. La locomotiva dell’Europa, quella che ci impone austerità, pareggi di bilancio, tirature di cinghia a quanto pare non è così esente da problemi. Lunedì 22 aprile sono stati cancellati 1755 voli della Lufthansa, una delle più grandi compagnie aeree d’Europa, il traffico aereo nazionale e europeo si blocca per un intera giornata. Lo sciopero, promosso dal sindacato dei Ver.di, è stato fatto per chiedere un aumento considerevole di stipendio al personale di aria e di terra, e maggiori garanzie occupazionali. Peccato che il direttivo della compagnia abbia in mente una strategia del tutto diversa per salvaguardare le sue casse: un taglio di 3500 posti di lavoro.
Questo è solo uno degli ultimi sintomi della battuta di arresto che sta subendo la rinnovata “superpotenza”. La sua economia è vincente, mantiene un buon livello di export senza avere un import esorbitante e il livello della domanda interna continua ad essere alto. Il suo problema non è un’eventuale recessione, ma alcuni decimi di percentuale in meno rispetto alle aspettative di crescita degli economisti. Ma possiamo dire che da quando si è spezzato l’asse dell’austerità Merkel-Sarkozy la Germania ha dovuto accusare parecchi colpi. A marzo si registrano 13000 disoccupati in più, contro i 2000 previsti dagli analisti. Ha poi dovuto fare i conti con il cosiddetto “Effetto Cipro” che ha diminuito di parecchio la fiducia nelle imprese tedesche. Ci si è messo poi anche il Belgio, nelle persone dei ministri dell’economia e del lavoro Vande Lanotte e De Coninck, che hanno accusato Berlino di dumping sociale davanti alla Commissione Europea. Le imprese tedesche sembrano sfruttare la manodopera degli immigrati in modo indiscriminato, pagandoli 3-4 euro l’ora, senza versare contributi, facendoli lavorare in condizioni precarie, senza nessuna sicurezza sociale. Così alcune imprese belghe hanno dovuto chiudere, a loro avviso, per la concorrenza sleale tedesca.
In generale le contrazioni dell’economia della Germania sono state più forti del previsto dal 2012 a oggi: niente che possa spodestarla dal suo ruolo, ma resta una brutta crepa su un vaso di cristallo.
Così, mentre anche le voci più favorevoli all’austerity si affievoliscono, tanto che lo stesso Barroso la definisce un tipo di politica “che ha raggiunto i suoi limiti politici e sociali”, tocca ora a questo Stato vedersela con un malcontento interno e la “Germanofobia” che si è diffusa soprattutto in Grecia, Italia, Spagna e Portogallo. Che sia questa la ragione o un semplice modo per non guardare alle politiche fallimentari di ciascuno Stato, nel proseguo di una crisi che nessuno riesce a comprendere appieno in tutta la sua complessità.
Articolo di Sara Brilla Martinetto.