Continua la polemica innescata da alcuni neurologi sul ruolo dell’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI), scoperta nel 2007 dal prof. Paolo Zamboni (Direttore del Centro Malattie Vascolari dell’Università di Ferrara), nella sclerosi multipla (SM), malattia gravemente invalidante che colpisce 63.000 italiani e per la quale non si conoscono ancora né le cause né una terapia definitiva e valida per tutti, nonostante le ingenti risorse investite per la ricerca soprattutto nel ricco settore farmaceutico.
Sulla materia abbiamo intervistato l’angiologo Dr. Giampiero Avruscio dell’Ospedale S. Antonio di Padova:
Dottor Avruscio, sulla base della sua esperienza la CCSVI scoperta dal prof. Zamboni esiste veramente?
“Non solo esiste, ma è stata “certificata” nel 2009 dall’ International Union of Phlebology (UIP), inserendola tra le malformazioni venose congenite che si sviluppano fra il 3° ed il 5° mese di vita intrauterina. La UIP (Unione Internazionale di Flebologia), fondata nel 1959 sui principi della scienza, della formazione e della comunicazione, è un ente sovranazionale incaricato di rafforzare la comunicazione tra le società e associazioni scientifiche in tutto il mondo, che hanno un particolare interesse per lo studio e la terapia dei disturbi venosi.”
A suo avviso c’è una correlazione con la sclerosi multipla e le altre malattie neurologiche?
“Una correlazione tra due patologie va dimostrata secondo i canoni della scienza. L’unico studio scientificamente serio, rigoroso, multicentrico, randomizzato e in doppio cieco, che ha avuto l’approvazione dei vari comitati etici, mi risulta sia Brave Dreams, che non è ancora giunto a conclusione e che per la verità sulla propria strada ha incontrato molti ostacoli di ogni tipo, come anche la mia esperienza dimostra. Dopo i lavori pubblicati da Zamboni, ci sono state molte osservazioni di singoli Centri che hanno riscontrato gli stessi risultati del professore di Ferrara.
I risultati degli studi disponibili in letteratura sono però contrastanti, con una prevalenza di CCSVI nei pazienti con SM compresa in un range tra lo 0% e il 100%. Queste differenze possono essere attribuite a svariati motivi: la bassa qualità degli studi, in particolare per quanto riguarda la cecità degli sperimentatori assente nella maggior parte di essi, la metodologia adottata, la diversa accuratezza dei tests diagnostici, incluse le apparecchiature utilizzate e l’esperienza degli esaminatori, oltre al setting con cui sono costruiti.
Sono quindi necessari nuovi studi, condotti con una metodologia scientifica come Brave Dreams, per testare l’ipotesi di una associazione tra CCSVI e SM e soprattutto per quantificarne l’entità.”
Sullo studio CoSMo dell’Aism che nega questa correlazione cosa ci può dire?
“Lo studio CoSMo è l’esempio di uno studio multicentrico, randomizzato e a doppio cieco, che mette in evidenza alcune carenze relativamente al setting dello studio, alla metodologia adottata, alla diversa accuratezza dei test diagnostici, incluse le apparecchiature utilizzate e l’esperienza degli esaminatori. Per questo è stato da più parti criticato perché i risultati mancano della validazione strumentale obiettiva della flebografia che è il gold-standard di riferimento per la diagnosi della CCSVI con Ecocolordoppler. Sarebbe stato molto interessante analizzare i risultati degli sperimentatori, supervisionati dai super esperti, compresi quei falsi positivi valutati tali a “maggioranza” da parte dei super esperti, alla luce del confronto con la flebografia. Credo che con lo studio CoSMo in questo senso si sia persa una grande opportunità scientifica.”
Ai malati di SM positivi alla CCSVI consiglierebbe di fare l’intervento di angioplastica oppure è meglio aspettare la fine degli studi in corso?
“Su questo punto bisogna fare chiarezza. Non esiste ad oggi nessun Centro Italiano o Estero dove sia possibile sottoporsi ad angioplastica venosa per la CCSVI, in cui il paziente non firmi il consenso informato. Con tale consenso il paziente è cosciente che l’intervento viene eseguito solo per cercare di migliorare una funzione venosa alterata e non per altro. Finché la Scienza secondo i suoi canoni non dimostra cose diverse, l’angioplastica non può essere considerata, richiesta e/o proposta come terapia della SM, anche se sono stati pubblicati studi scientifici di singoli centri, che dimostrano non solo la sicurezza dell’angioplastica, ma anche un miglioramento della qualità di vita, nella maggioranza dei pazienti che sono stati sottoposti all’intervento.
La Regione Veneto alla fine di aprile di questo anno, ha inviato una nota a tutte le strutture sanitarie del Veneto, chiarendo in modo netto che “l’angioplastica non può essere proposta per migliorare la sintomatologia della SM” e quindi come sua terapia. Ovvero che “eventuali procedure di correzione della patologia venosa a scopo terapeutico, in pazienti con SM, siano effettuate solo ed esclusivamente nell’ambito di studi clinici controllati e randomizzati; pertanto l’intervento di correzione vascolare non può essere indicato nei pazienti affetti da tale patologia a scopo terapeutico al di fuori di studi clinici appositamente autorizzati”. Nella stessa nota si precisa inoltre che nelle prestazioni previste dal nostro SSN, “è già presente un codice procedura relativa all’angioplastica, che consente di intervenire in caso di malformazioni dell’apparato vascolare artero-venoso giudicate dal medico rilevanti, per le quali è possibile proporre l’intervento”.
Cercare di reintegrare una funzione venosa alterata attraverso un’angioplastica, nei pazienti in cui si riscontrano anomalie venose suscettibili di tale intervento, deve essere possibile in qualsiasi ospedale pubblico che abbia le competenze e le esperienze necessarie e non solo possibile, come attualmente in gran parte succede, in strutture private e molto spesso straniere. E’ un percorso assistenziale e istituzionale che caratterizza Padova e il Veneto. Gli studi di correlazione sono altra cosa, che spero procedano speditamente e arrivino a conclusioni finalmente chiare. Qualunque esse siano. E’ un dovere della comunità scientifica. E’ un diritto dei pazienti e di tutti i cittadini.”