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Sconcertante denuncia dell’Eni contro Milena Gabanelli

Creato il 03 aprile 2013 da Cremonademocratica @paolozignani

Ecco un caso di violenza psicologica contro i giornalisti, uno dei tanti ma stavolta clamoroso: un programma della Rai viene minacciato e moralmente ricattato da un’azienda partecipata dallo Stato, proprietario della stessa Rai. L’Eni fra l’altro ha qualche guaio non da poco con la giustizia. Ed è sempre l’Eni che tramite le sue controllate impazza nella nostra provincia e in quella di Brescia per conquistare il territorio e usarlo come cavia o peggio ancora. Milena Gabanelli con le sue inchieste è oltretutto un simbolo di sofferta libertà: se berrà messo il bavaglio a Milena tutta la categoria sarà colpita. La minaccia riguarda più i cittadini, che hanno diritto all’esistenza di un giornalismo libero, anche di sbagliare e di pagarne le conseguenze come dice Milena Gabanelli, ma libero di investigare e criticare. È del tutto inaccettabile che i poteri esistenti siano presenti sui media solo con degli spot e che zittiscano chiunque vuole vedere le carte.

Gabanelli:«Difendo il diritto di fare inchieste in un Paese civile»
La giornalista, l’Eni e la causa da 25 milioni: «Non invoco nessuna
immunità, se sbaglio voglio essere punita»

Milena Gabanelli durante una puntata di «Report», su Raitre (Ansa)Milena Gabanelli durante una
puntata di «Report», su Raitre (Ansa)
ROMA – «Leggi tu stesso», mi fa Milena Gabanelli. E sfoglia un atto di citazione lungo una Quaresima.
Pagina 8: «L’incredibile attacco a Eni, peraltro, non si è arrestato
(…) quando è andato in onda il servizio “Ritardi con Eni”, ma è
proseguito con la dott.ssa Gabanelli ancora protagonista (…)
dichiarando in una intervista rilasciata al Corriere della Sera Sette
(…) che l’inchiesta più difficile è stata “quella su Eni, perché
nessun diretto interessato ha voluto parlare con noi. Per un’azienda
dove il maggior azionista è lo Stato, dovrebbe esserci più
disponibilità a un confronto critico. Inoltre perché, per una
settimana, ho ricevuto quotidianamente lettere minatorie”».

Ho letto.
Allora?
«Non capisco dove stia l’incredibile attacco ad Eni.
Sottoscrivo ogni parola, che peraltro andrebbe riportata correttamente.
Come vedi nell’intervista al Corriere non c’è scritto “lettere
minatorie”, ma “intimidatorie”».

Lana caprina, direbbero.
«Eh no, se
mi permetti “minatorie” significa che contengono minacce,
“intimidatorie” che hanno l’obiettivo di intimorire, lasciando
intendere che quello che scrivi potrebbe avere conseguenze…».

Una
scivolata. Succede, no?
«Una scivolata in una citazione nella quale
l’Eni chiede venticinque milioni di danni per una trasmissione
televisiva? Una scivolata a causa della quale la sottoscritta dovrebbe
meritare un trattamento speciale a parte, visto che quella parola da me
non pronunciata è considerata così gravemente lesiva da “costituire
autonomo e ulteriore titolo di responsabilità”?».

Ammetto che la cosa
possa lasciare basiti.
«Non è l’unica, e visto che io e Paolo Mondani
(l’autore del servizio, ndr ) siamo stati accusati di aver danneggiato
l’immagine dell’azienda, mi chiedo: è normale che una compagnia
indagata insieme al suo amministratore delegato per corruzione
relativamente ai 197 milioni di tangenti pagati in Algeria, un’azienda
che ha patteggiato nel 2012 con la Sec e il dipartimento della
giustizia americana 365 milioni per corruzione, e questo sì lede
l’immagine di un’impresa controllata dallo Stato, voglia trascinare in
tribunale la tivù pubblica per aver raccontato fatti sui quali nessuno
dei vertici ha voluto accettare un confronto?».

Davvero è andata così?

«Ci hanno detto “rispondiamo solo a domande scritte”, oppure “Scaroni
risponde in diretta”. Ma in nessun Paese del mondo i programmi
d’inchiesta sono in diretta! Allora cosa devo fare, leggere dei
comunicati? Anche se ci tengo a precisare che abbiamo dato conto, dove
era possibile, della loro versione».

Ma perché mettere sotto i fari
proprio la gestione Scaroni?
«Perché è al terzo mandato, e Scaroni
viaggia con la sua storia, nella quale c’è anche un patteggiamento a un
anno e 4 mesi per tangenti Enel. Perché dal 2002 è stato
ininterrottamente ai vertici delle due più grandi imprese a controllo
pubblico. Non è doveroso che la Rai tenga un faro acceso, tanto più in
un Paese nel quale le maggiori aziende pubbliche sono coinvolte in
grossi guai giudiziari?».

Veniamo ai fatti.
«Nella citazione che ci è
arrivata contestano tutto. A partire dal titolo. Contestano che il
maggior costo del gas dovuto ai contratti take or pay con la Russia
finisca sulle bollette, quando lo stesso Scaroni ha chiesto in
un’audizione al Senato che non siano gli azionisti a farsene carico. La
ricostruzione della opacità nei contratti con il Kazakistan. Le
critiche alla campagna sconti della scorsa estate. La questione
ambientale in Basilicata. Perfino la remunerazione di Scaroni,
pubblicata sul sito dell’Eni, e di cui abbiamo spiegato il meccanismo
delle stock option pagate per cassa. Ce n’è di spazio in 145
pagine…».

Centoquarantacinque pagine? Li hai fatti arrabbiare di
brutto.
«Premesso che come giornalista non invoco nessuna immunità, e
se sbaglio voglio essere giustamente punita. Nel caso specifico il
giudice valuterà, per quel che ci riguarda risponderemo punto per punto
e poi chiederemo a nostra volta i danni poiché riteniamo che sia la
classica lite temeraria. Per quale motivo non ci possiamo chiedere
perché paghiamo il gas così caro? O se esistono criticità ambientali?
Oppure perché c’è una indagine per tangenti? Devo forse ignorare il
rapporto privilegiato che Putin ha con Berlusconi, che questo
management è stato nominato da Berlusconi e che per il gas l’Italia
dipende dalla Russia? E visto che è una società controllata dallo Stato
perché non posso fare qualche domanda sulla retribuzione del suo
vertice, che si è quintuplicata?».

Scaroni dice che è pagato meno dei
suoi colleghi esteri.
«A parte che non è sempre vero, come nel caso
della francese Total, azienda a partecipazione pubblica. E poi, si può
contestare una retribuzione così alta, tanto più in un periodo di crisi
devastante per il Paese? In Svizzera hanno appena fatto un referendum
per cui lo stipendio del manager è deciso dall’assemblea in base ai
risultati non costruiti ad hoc per far salire la retribuzione, e
comunque in misura non superiore a 12 volte la paga minima aziendale.
Qui siamo a multipli centenari».

Non ci troviamo in Svizzera.
«La domanda resta: è possibile essere critici sulla gestione Scaroni senza
finire in tribunale?».

Dovresti sapere che non siamo neppure in Gran Bretagna.
«Anche lì hanno le loro rogne, ma il diritto anglosassone
prevede che chi porta un giornalista in tribunale senza motivo rischia
di pagare un multiplo di quanto chiede; perché intimorisce il
giornalista e quindi lede il principio supremo della libertà di
informazione».

L’ultimo rapporto di «Reporter senza Frontiere» sulla
libertà di stampa colloca invece l’Italia soltanto al 61° posto nel
mondo.
«Non considero queste classifiche una Bibbia, ma non c’è dubbio
che per noi la questione è da una parte culturale, ovvero il potere non
accetta la critica, dall’altra normativa. Anche il nostro codice
prevede la sanzione per lite temeraria, ma non viene quasi mai
applicata, o al massimo si rischia un piccola multa. Se invece l’Eni
rischiasse di pagare 50 milioni, forse ci penserebbe bene prima di
mettere in moto una causa del genere… Senza considerare che nel caso
specifico siamo di fronte a un’azienda a controllo pubblico che chiede
i danni a un’altra azienda pubblica che è la Rai, e che gli avvocati
dell’Eni li pagano gli azionisti e quindi anche i cittadini. Ma poi, se
il servizio era così diffamatorio, perché non mi hanno querelata?».

Le querele non sono più di moda. Adesso vanno forte le cause civili. Basta
dare uno sguardo ai bilanci delle nostre aziende per comprenderne la
ragione.
«Scappano dal penale perché è più rigido e più veloce. Invece
in un processo civile puoi chiedere qualunque cifra, e questo tiene il
giornalista sulla graticola e costringe l’editore ad accantonare una
percentuale nel fondo rischi, in attesa di sentenza, che può arrivare
anche dopo 10 anni».

La conclusione?
«Che il giornalista invece di fare il cane da guardia preferisce occuparsi di allergie da polline».

Allergie da polline: non ci avevo mai pensato. Sicura che non si rischia una causa civile da qualche floricoltore?
«Almeno si è sicuri
che non è il capo della più grande azienda di Stato».

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