La presa d’assalto dei distributori di benzina durante i weekend è stata una delle costanti dell’estate. Gli automobilisti, tentati dagli “sconti” praticati nei fine settimana, facevano file, a volte di ore, per rifornirsi di carburante a prezzi più contenuti. I “sottocosto” messi in atto dalle compagnie però venivano recuperati durante la settimana, dal lunedì al venerdì, con aumenti di prezzo. In totale, quindi, l’esborso per un consumatore che faceva rifornimento anche durante i giorni feriali rimaneva alto. I prezzi medi nazionali proposti negli impianti con l’erogazione “servito” risalivano puntualmente, tanto per la verde quanto per il diesel e il gpl. La strategia messa in atto dalle compagnie è stata rilevata da un’analisi dei prezzi condotta dal sito Quotidianoenergia.it. Il portale rilevava a inizio luglio che effettivamente durante i weekend le compagnie vendevano carburanti sottocosto: la benzina costava 1,580 al litro e il diesel piombava sotto quota 1,50. A dimostrare l’esistenza del “trucco” per compensare i minori guadagni del weekend è anche l’osservazione dell’andamento dei margini lordi delle compagnie (che comprendono anche la remunerazione dei gestori e i costi di commercializzazione e distribuzione).
Il prezzo della benzina da cosa dipende?
L’Italia è il quarto Paese al mondo per il costo della benzina. Secondo la classifica di Bloomberg, la Norvegia è la nazione in cui la benzina costa di più: prezzo alla pompa di 2,2 euro al litro. La classifica, però, cambia se si considera il reddito medio. In questo caso, il primo posto spetta all’India e la ricca Norvegia slitta in cinquantaduesima posizione, l’Italia al trentaquattresimo posto. Nel Belpaese a pesare sul prezzo dei carburanti sono, per oltre il 50 per cento, tasse e balzelli. Proprio in questi giorni il prezzo della verde ai distributori della rete ordinaria ha sfondato la soglia psicologica dei 2 euro al litro. Un record al rialzo che, guarda a caso, casca proprio in concomitanza con il rientro degli italiani dalle ferie.
A pesare sul prezzo sono, soprattutto, le accise. Sono imposte che gravano sulla quantità dei beni prodotti, a differenza dell’Iva che incide sul valore. L’ultimo ritocchino, ovviamente al rialzo, delle accise è arrivato con la manovra Salva Italia di Monti (0,082 euro al litro). Ma gli innumerevoli balzelli che appesantiscono l’oro nero risalgono, addirittura, al 1935: 0,001 euro per la guerra in Abissinia. Oppure 0,007 euro per la crisi di Suez del ’56; 0,051 euro per il terremoto in Friuli del 1976 e via discorrendo, passando per la missione in Bosnia del 1996 (+0,011 euro al litro) o per il nuovo contratto degli auto-ferrotranvieri del 2004 (0,020 euro di aumento). Ma non finisce qui. Oltre a questo, ci sono anche le gabelle regionali. Il totale delle accise dà 0,7042 euro che si intasca il fisco. A questi si possono aggiungere anche le accise delle singole regioni, arrivando così al totale, medio, di 0,7070 per la benzina e 0,5820 euro di accise sul gasolio. Ma non bisogna dimenticarci l’Iva. L’imposta sul valore aggiunto. Adesso è al 21%, ma l’anno prossimo potrebbe tranquillamente essere amentata al 23%; il rincaro successivo è in previsione per il primo gennaio 2014, quando la pressione potrebbe arrivare al 23,5%.