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Scontro di civiltà per la panchina di una nazionale

Creato il 19 ottobre 2011 da Giorgiocaccamo
A un crujffiano (e ruffiano) come Johan Van Marten non poteva piacere, certo. Un cultore del calcio totale della perfetta "arancia meccanica" olandese degli anni Settanta prova semplicemente ribrezzo per il proverbiale catenaccio italiano. Vabbè, noi abbiamo vinto quattro mondiali e loro... Tra l'altro uno di questi mondiali, il più evocato ed evocativo, l'ha vinto proprio quello che il buon Johan non poteva sopportare.
Scontro di civiltà per la panchina di una nazionale Alt. Chi è Johan Van Marten? Il nome è talmente olandese che... non è vero. Infatti è un personaggio di fantasia, nato dalla penna di Amara Lakhous, scrittore e antropologo italo-algerino, autore del romanzo Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio. Johan, cinefilo e aspirante regista, ce l'aveva in particolare con un calciatore italiano (ecco cosa c'entrano Crujff e il mondiale del 1982). Molti si erano convinti che avesse problemi a parlare italiano quando diceva fiero «Io non sono GENTILE». Ma non era un'assurda ammissione di cattiveria e arroganza: Johan Van Marten non è gentile, nel senso che non è Gentile. Claudio Gentile.
L'adepto del Profeta del gol vedeva nel rude difensore che maltrattò Maradona ai mondiali di Spagna 1982 il simbolo peggiore dell'Italia peggiore. Giusto per sottolineare che il calcio è una cosa molto seria!
Scontro di civiltà per la panchina di una nazionale Un biondo del nord Europa contro un meridionale, molto meridionale, dalla - diciamo così - carnagione scura. Claudio Gentile, originario di Noto, quindi di stirpe sicula, in realtà è nato molto a sud di Tunisi. Gentile infatti è nato a Tripoli, figlio di quell'emigrazione italiana in Libia mediamente poco nota ai nostri connazionali. In alcuni almanacchi addirittura figura come l'unico calciatore africano in Italia negli anni Settanta - gli stessi anni, guarda un po', del calcio totale che tanto piace a Johan Van Marten. Lo fregava in effetti il colorito.
Questo aspetto, soprattutto oggi, ha un significato serio. Quando scrivevo la mia tesi in antropologia culturale sui calciatori di colore, il nome di Gentile era venuto fuori dall'analisi di un libro molto importante per la "disciplina" (virgolette obbligatorie, una vera disciplina ovviamente non esiste, ndr), La razza in campo del sociologo Mauro Valeri. Per spiegare i ritardi del calcio nell'accettare i Black Italians, Valeri scriveva che nel caso di Gentile «il colore "abbronzato" della pelle passa quasi inosservato, ma sembrerebbe quasi per non voler aprire alcuni tristi capitoli della storia italiana».
Scontro di civiltà per la panchina di una nazionaleIo non credo che Gentile sia scuro perché africano e/o viceversa. Di certo oggi le sue origini meritano una particolare attenzione. L'ex ct dell'Under 21, soprannominato "Gheddafi" quando giocava, potrebbe tornare a casa. Un emigrante di ritorno, ma di lusso. A Gentile è stata infatti offerta la panchina della nazionale di calcio della nuova Libia, quella che gioca sotto la bandiera rossoneroverde e non più sotto quella verde del Colonnello. Gentile sarebbe contentissimo, ha fatto sapere, di tornare a Tripoli, "per affetto".
Certo, prima bisogna che si chiarisca la situazione nel Paese e venga arrestato Gheddafi, quello "vero". Poi si vedrà. Gentile intanto ha già detto che sarebbe interessante organizzare un'amichevole con la nazionale italiana. Insomma, sarebbe un bel riscatto per il calcio libico, dopo quel gran figlio di papà di Saadi. Il vero Gheddafi, nel calcio, rimane comunque Claudio Gentile.
E credo che pure il progressista e, a suo modo, idealista Johan Van Marten potrebbe essere contento.

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