Grazie a un’inedita combinazione di dati Planck e Herschel, sono stati individuati quattro nuovi ammassi di galassie a distanze mai raggiunte prima. Il commento di Gianfranco De Zotti, associato INAF e responsabile italiano del programma di osservazioni HerMES.
di Stefano ParisiniLe sonde spaziali Herschel e Planck dell’ESA
L’unione fa la forza, si dice. In questo caso un team internazionale di astronomi, tra cui alcuni italiani, ha combinato in modo nuovo i dati provenienti dai due satelliti Planck e Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea, riuscendo a identificare i più distanti ammassi di galassie mai osservati. Lanciati assieme nel 2009, sia Planck che Herschel sono “andati in pensione” l’anno scorso. Planck, il cui scopo finale era lo studio del fondo cosmico a microonde, ha osservato tutta la volta celeste, mentre Herschel ha scandagliato solo alcune zone specifiche ma con grande dettaglio, per indagare sulla formazione e sull’evoluzione delle galassie. Il gruppo di ricerca ha usato i dati di Planck per individuare sorgenti che emettono alle lunghezze d’onda del lontano infrarosso in aree di cielo coperte anche dalle osservazioni di Herschel. L’incrocio dei dati ha alla fine permesso di individuare quattro sorgenti che alla vista di Herschel risultavano in realtà composte da una miriade di oggetti più deboli, indicando la presenza di ammassi di galassie precedentemente sconosciuti.
Gli ammassi di galassie, composti da centinaia o migliaia di singole galassie legate fra loro gravitazionalmente, sono gli oggetti cosmici più massicci. Se ne conoscono tantissimi, ma la maggior parte sono relativamente vicini alla Terra e quindi abbastanza “vecchi” rispetto all’età dell’universo. Per capire come questi aggregati di galassie si siano formati ed evoluti, gli astronomi devono vederne dei campioni più giovani, a distanze sempre maggiori. Un’impresa riuscita al gruppo guidato da David Clements dell’Imperial College di Londra. “Nonostante riusciamo a vedere singole galassie anche lontanissime – ha spiegato Clements – finora erano stati osservati ammassi di galassie risalenti al massimo a quando l’universo aveva attorno ai 4,5 miliardi di anni, che equivale a una distanza di 9 miliardi di anni luce. Con il nostro nuovo approccio abbiamo già trovato un ammasso che esisteva ben prima, e riteniamo che ci sia il potenziale per spingersi oltre.”
La luce dell’ammasso più distante tra i nuovi quattro identificati ha infatti impiegato oltre 10 miliardi di anni per arrivare fino ai sensori dei satelliti, restituendoci l’immagine di come l’ammasso appariva all’epoca in cui l’universo aveva poco più di 3 miliardi di anni. “Riteniamo che quello che stiamo osservando in questi ammassi distanti siano galassie ellittiche giganti colte durante il loro processo di formazione,” ha aggiunto Clements.
Le galassie possono essere divise in due tipi: ellittiche, con molte stelle e una ridotta quantità di gas e polveri, e spirali, come la Via Lattea, che invece abbondano di gas e polveri. La maggior parte degli ammassi all’epoca attuale sono dominati da galassie ellittiche giganti in cui le polveri e il gas si sono già convertiti in stelle.
“L’importanza di questa scoperta ha a che vedere con il modo con cui le galassie si sono evolute all’interno degli ammassi,” ha spiegato a Media INAF Gianfranco De Zotti, associato INAF e nel gruppo astrofisica della Scuola Internazionale di Studi Avanzati di Trieste, tra gli autori dell’articolo pubblicato oggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. “Per osservare un ammasso come sistema bisogna che un numero piuttosto ampio di galassie all’interno dell’ammasso si presenti nella stessa fase contemporaneamente. Le galassie ellittiche hanno una fase di formazione stellare che si ritiene essere relativamente breve sul piano cosmologico: meno di un miliardi di anni. Il fatto di trovarne in questa fase un numero considerevole, sufficiente a far sì che il loro flusso totale sia visibile da Planck, è un’informazione importante, perché non è assolutamente detto che questa breve fase di vita avvenga più o meno simultaneamente per numerose galassie.”
Secondo i ricercatori, i quattro nuovi ammassi di galassie lontani potrebbero essere solo un piccolo assaggio di altre scoperte simili, importanti per ricostruire una cronologia evolutiva. “La cosa forse più interessante dello studio è la novità del metodo per scoprire questi ammassi,” ha aggiunto De Zotti, che è anche il responsabile italiano del programma di campionamento HerMES (Herschel Multi-tiered Extragalactic Survey) su cui si basa la ricerca. “Questo metodo richiede un’insieme di osservazioni, a partire da dati Planck combinati con dati Herschel e con osservazioni di follow-up a risoluzione più alta. Siccome quelli cercati sono oggetti rari, occorre avere dati su aree di cielo piuttosto ampie. Quando l’analisi dati, tuttora in corso, della survey HerMES sarà terminata, si potrà applicare lo stesso metodo a un campione più grande rispetto a quello limitato su cui è stato fatto lo studio.”
Uno studio che, fra l’altro, conferma il ruolo fondamentale del satellite Herschel. “Se confrontiamo quello che sapevamo sulla storia della formazione stellare nell’universo prima e dopo Herschel troviamo veramente un salto qualitativo”, ha concluso De Zotti.
Tra gli autori della ricerca altri due italiani: Lucia Marchetti (Open University) e Mattia Vaccari (University of the Western Cape).
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini