Con cinque pianeti di grandezza paragonabile a quella della Terra, in orbita attorno a una stella formatasi quando l’Universo era ancora giovanissimo, il Sistema Solare di Kepler-444 socchiude la porta di un’ipotesi affascinante: la Via Lattea ha già conosciuto la vita
Gli astrosismologi e i ricercatori dell’Università di Birmingham hanno guidato il team che ha scoperto un Sistema Solare con cinque pianeti di dimensioni simili a quelle della Terra, e che risale agli albori della formazione della Via Lattea, la galassia che abitiamo.
Il merito, diciamolo subito, è ancora una volta della missione NASA Kepler (di cui spesso abbiamo scritto su MediaINAF). Sulle colonne di The Astrophysical Journal è arrivata la notizia di una stella del tutto simile al nostro Sole – Kepler-444 – attorno a cui ruoterebbero cinque pianeti di dimensioni comprese fra Venere e Mercurio. Kepler-444 è una stella formatasi 11,2 miliardi di anni fa, al tempo in cui l’Universo aveva meno del 20% della sua età attuale. Di fatto, è il più antico Sistema Solare conosciuto a presentare caratteristiche tanto simili a quello che ben conosciamo: cinque pianeti di dimensione paragonabile a Terra.
«Questo sistema è estremamente peculiare anche dal punto di vista della compattezza», spiegaAlessandro Sozzetti dell’INAF-Osservatorio Astrofisico di Torino, fra gli autori dell’articolo con un altro italiano, associato dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova: Andrea Miglio. «I cinque pianeti si trovano tutti su orbite di piccole dimensioni, meno di un quinto dell’orbita di Mercurio. Indice di una forte evoluzione dinamica del sistema, successiva alla sua formazione. Appena l’1% dei sistemi extrasolari individuati da Kepler ha caratteristiche simili a quelle di Kepler-444».
Il team di ricercatori si è avvalso delle conoscenze astrosismologiche maturate negli ultimi decenni:dalla frequenze delle oscillazioni naturali della stella, causate da onde sonore intrappolate in una cavità risonante situata al suo interno, è possibile calcolare raggio, massa e, soprattutto, età. Per l’individuazione dei pianeti invece si ricorre al metodo dei transiti, che causano oscuramenti più o meno estesi del disco stellare. L’affievolimento nell’intensità della luce ricevuta dalla stella consente agli scienziati di desumere la dimensione esatta dei pianeti partendo dalle specifiche della stella ospite.
Tiago Campante, in forze presso la School of Physics and Astronomy dell’Università di Birmingham, e primo autore dell’articolo spiega come questa scoperta apra a conseguenze molto importanti dal punto di vista della teoria della formazione dei sistemi planetari. «Adesso sappiamo che i pianeti di dimensioni simili a quelli della Terra si sono formati durante l’intera storia dell’Universo. 13,8 miliardi di anni: non sono pochi per escludere che la Galassia abbia già ospitato altre forme di vita nel suo passato»
C’è da tener conto del fatto che al momento in cui la Terra si è formata, i pianeti di questo antico Sistema Solare erano già più vecchi di quanto non lo sia il nostro pianeta oggi. Ma quel che è certo, è che la scoperta fatta dagli astrosismologi aggiunge elementi utili a fissare un inizio ai processi di formazione planetaria.
Secondo il professor Bill Chaplin, anch’egli dell’Università di Birmingham e leader del gruppo che nell’ambito della missione Kepler si è occupato delle stelle di tipo solare, «la scoperta di pianeti extrasolari in orbita attorno a stelle simili alla nostra, ci spinge a continuare la ricerca di pianeti simili alla Terra nel vicinato del nostro Sistema Solare».
«Questo eccezionale risultato consolida le potenzialità dell’astrosismologia nella determinazione dei parametri fisici delle stelle», sottolinea Ennio Poretti dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, che abbiamo raggiunto per un commento. «Come ha dimostrato il caso di Kepler-444, la precisa determinazione di massa e raggio delle stelle ospiti hanno una immediata ricaduta sulla conoscenza degli stessi parametri dei pianeti. La missione ESA PLATO 2.0 è basata su questo connubio maturato negli anni proprio tramite le missioni CoRoT e Kepler. Ma ancor più significativo è l’uso dell’astrosismologia per rivelare quel dato che le stelle ostinatamente tendono a nascondere, la loro età».