Antigone è un personaggio abbastanza noto e importante del mito antico, ma tutto sommato capita di non conoscerlo o di non imbattersi mai in lei. È figlia di Edipo, e solo questo le basta non solo per aver fama presso i posteri (e i post-freudiani in particolare), ma anche per una condanna terribile che grava su di lei e sulla sua famiglia come un macigno («dell’intera casata dei Labdacidi il destino atroce. Ahi delirio del letto di mia madre, fatali abbracci di lei con suo figlio, dai quali io maledetta nacqui!»). Quando i suoi due fratelli, Eteocle e Polinice, si sfidano per il potere davanti alle porte di Tebe - dopo che il padre ha lasciato per sempre la città - uccidendosi a vicenda, comincia per lei il tempo della sciagura.
Suo zio Creonte, infatti, che ha preso suo malgrado il potere quale discendente più prossimo di Edipo, ha stabilito di seppellire Eteocle con tutti i riti, ma di lasciare Polinice a marcire al sole, quale segno di condanna morale per aver preso le armi contro la città. Antigone sceglie di opporsi allo zio e di compiere ugualmente i riti funebri per il fratello, pur sapendo di andare incontro a morte certa.
È chiaro che la storia di Antigone abbia sempre suscitato interesse; numerosi, dopo la versione di Sofocle, i rifacimenti dell’opera, come quelli di Alfieri, Anouilh, Brecht. Nessuno esita a identificare con Antigone la protagonista della tragedia: un’eroina straordinaria, che travalica il tempo e lo spazio.
Tuttavia, a ben rileggere il mito, Antigone è più propriamente la co-protagonista della vicenda: perché anche Creonte ha il suo ruolo, non meno importante, tanto che addirittura nella versione di Sofocle è in scena molto più che la protagonista stessa. Sfogliando altre pagine antiche questo è in contraddizione con la storia della tradizione del personaggio di Creonte, che rappresenta, spesso, semplicemente il re, allo stesso modo di Tiresia, che rappresenta l’indovino saggio: quasi fosse una maschera, per usare termini goldoniani, un personaggio preconfezionato pronto da sfoggiare quando ci sia bisogno di rappresentare il potere.
Creonte, in scena, si identifica con la legge e il buon senso: «Non amo chi governa senza ascoltare i più saggi, né chi tiene chiusa la bocca per paura, e ancor meno chi reputa un amico più caro della patria». Si tratta di un valido motivo per contrapporsi ad Antigone, che difende invece le “leggi non scritte degli dei”, ossia i sentimenti, l’amore, gli affetti più profondi. Non che anche Creonte non li capisca; solo, ritiene che perché l’ordine regni in città bisogni comunque giungere a dei compromessi («Questo io penso e voglio: che mai si dia ai malvagi più che ai buoni, e che i buoni abbiano onori da vivi e da morti, finchè io abbia vita»). Si tratta di una scelta più spregevole nella versione di Sofocle che in quella di Anouilh: l’autore moderno, infatti, sottolinea la tragicità del personaggio di Creonte, intrappolato dai suoi stessi ordini. Vuole bene alla nipote e la vuole salvare: glielo dice, più volte. Non solo. È ben disposto a far sparire le guardie che l’hanno vista compiere i riti, è disposto a dimenticare ciò che è stato fatto; un atteggiamento in parte mafioso e colpevole, ma che non esita a porsi come difesa dei propri cari. Creonte è un potente in crisi; rappresenta, ai miei occhi, la drammatica consapevolezza degli effetti del potere, della necessità, mai accettata, del compromesso. Rappresenta anche la crisi di una particolare tipologia di uomo: il potente, di successo, che però considera ciò che fa come un dovere da compiere, e ne soffre: dice infatti «è un dovere sporco, ma se non lo si fa, chi lo farà?». Creonte si sgretola, piano piano, mentre si confronta con la propria dimensione privata, ossia la famiglia: esce distrutto dal colloquio con il figlio Emone, che è anche il fidanzato di Antigone. Così pure deludente è il rapporto con la moglie, la regina Euridice, una buona moglie che gli è “del tutto inutile”, che non riesce a sopportare la notizia della morte del figlio e decide per la morte, abbandonandolo a una solitudine disperata..
Anche Creonte, quindi, e la demolizione della figure del potere è uno dei temi portanti della tragedia. Creonte ne esce sconfitto; dopo la fine di Antigone arriva anche il suo turno di essere sconfitto.
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