Scorzone
Il fungo di cui parliamo in questo approfondimento appartiene alle specie più pregiate, i tartufi, ed assomiglia in particolare a quella di maggior pregio e valore commerciale: il tartufo nero. Il nome comune di questo fungo tuberoso è “scorzone”, quello scientifico è invece “Tuber aestivum”. Lo scorzone è un fungo che morfologicamente assomiglia al tartufo nero, ma di minore qualità e quindi con un valore commerciale più basso. Gli appassionati di piatti al tartufo possono però gustarlo senza timori, perché anche lo scorzone ha un ottimo gusto e sapore. Gli esemplari si ritrovano nei boschi prevalentemente in estate, ma è possibile raccoglierli anche in autunno e in inverno. Lo scorzone è un fungo tuberoso che costa molto più dei funghi comuni, ma molto meno dei tartufi pregiati. In tal senso si può definire un buon “compromesso” per chi desidera almeno una volta mangiare un bel piatto di tartufi, ma senza spendere troppo.
Caratteristiche

Raccolta
La raccolta dello scorzone è sottoposta alle stesse norme e regole previste per quella dei tartufi. Questo tubero si può, infatti, raccogliere liberamente nei boschi e nei terreni non coltivati. Per poter essere autorizzati alla raccolta bisogna però sostenere un esame di idoneità, al superamento del quale verrà rilasciato un tesserino o patentino da rinnovare ogni cinque o dieci anni. Le norme per il rilascio e il rinnovo del tesserino vengono fissate dalle regioni o dalle province, che possono fornire anche tutte le informazioni necessarie sulla procedura e sui documenti da presentare per il sostenimento dell’esame. Chi non avesse la possibilità o il patentino per la raccolta, può anche provare ad acquistare lo scorzone. Anche se il suo prezzo è inferiore a quello del tartufo nero, si mantiene sempre abbastanza elevato per il portafoglio di noi comuni mortali: circa 60 euro al chilo.
Coltivazione
I tartufi sono anche dei funghi coltivabili. In Italia si è tentata la coltivazione di molte specie commercializzabili, ma non sempre si sono avuti buoni risultati. Questi tuberi crescono infatti su terreni ben drenati e in simbiosi con piante specifiche. Molto importante, per il loro sviluppo, è anche il ph del terreno. Quest’ultimo deve essere preferibilmente calcareo, mentre sono da scartare quelli acidi. La coltivazione dei tartufi inizia con la messa a dimora delle cosiddette “piante micorrizate” cioè preparate per la crescita simbiotica del tartufo. Le piante vanno scelte presso i vivai. Ma per avere garanzia di riuscita, le stesse devono essere dotate di un’apposita certificazione che ne attesti la qualità e l’idoneità all’abbinamento con i tartufi. La certificazione viene di solito rilasciata da università ed istituti di ricerca, anche se spesso viene rilasciata direttamente dai vivai tramite un’autodichiarazione. Oggi, però, anche i vivai preferiscono adeguarsi al rigido protocollo di coltivazione dei tartufi richiedendo la certificazione direttamente agli enti di ricerca. La coltivazione dei tartufi può essere anche sostenuta da contributi regionali a fondo perduto o agevolati. Prima della messa a dimora delle piante, il terreno va lavorato, zappato, vangato e liberato delle pietre e dai cespugli come si fa per qualsiasi altra piantagione. Poi si scavano delle zolle che non devono superare i quaranta centimetri di profondità. Il periodo ideale per la messa a dimora delle piantine è l’autunno, cioè prima che arrivi l’inverno. Se la stagione si presenta già piuttosto rigida, meglio preferire la primavera. Per evitare il disseccamento delle micorrize, cioè delle radici della pianta colonizzate dalle spore del fungo, bisogna procedere a irrigare le piantine in fase di crescita. Le piante micorrizate sono in genere più resistenti alle avversità, ma una siccità prolungata potrebbe far seccare le micorrize del fungo facendo fallire la coltivazione.
Uso in cucina

