Non voglio entrare direttamente nella questione del referendum scozzese per l’indipendenza semplicemente perché da scarso conoscitore della storia, dell’emotività e della mentalità britannica non ne so giudicare i moventi profondi. Istintivamente sono portato a sospettare delle pulsioni identitarie che spesso servono a nascondere e sostituire quelle politiche, ma è difficile lasciarsi sfuggire che molto è cambiato negli ultimi anni e che oggi l’indipendentismo di alcune regioni come appunto la Scozia o la Catalogna, nasce sì da ragioni storiche, ma fa tutt’uno con la politica, anzi è una delle forme che prende la rivolta popolare contro il massacro sociale determinato dal pensiero unico, ormai ampiamente contestato, ma che rimane la dottrina del potere in tutto l’emisfero occidentale. E’ un modo per riacquisire identità sociale più che nazionale, una strada per il recupero della cittadinanza.
Basti solo pensare a chi è contro una eventuale indipendenza della Scozia: le banche che hanno minacciato di andarsene, la Ue che sia pure ufficiosamente ha fatto trapelare intenzioni vendicative, il governo Cameron e l’establishment britannico. E naturalmente si scopre contrario anche il gotha laburista per ragioni sorprendenti: la settimana scorsa, l’ex ministro del Labour, Brian Wilson ha sostenuto che “un Regno Unito senza Scozia avrebbe molte meno probabilità di eleggere un governo di un colore progressista”. La cosa è straordinaria poiché proprio questo ministro è stato uno dei sostenitori del fondamentalismo del mercato, ha approvato la guerra in Iraq, ha sostenuto molte leggi restrittive e repressive comprese quelle che riguardano le proteste pacifiche, ha utilizzato i fondi pubblici per dotarsi di missili nucleari Trident e costruire i relativi sottomarini, last but no least ha aumentato vertiginosamente le tasse delle università e delle fondazioni ospedaliere scozzesi. Assieme all’ex capo Gordon Brown, anche lui intento a battere le campagne scozzesi per il no all’indipendenza, si è vantato di aver stabilito il più basso livello mondiale di tassazione per le società, imponendo contemporaneamente feroci tagli al welfare e infine ha spinto a suo tempo la City a riempirsi della spazzatura finanziaria,
L’invito a dire no all’indipendenza per sbarrare la strada “alle forze della reazione e del privilegio, in nome della solidarietà” vantando come alleati i ricatti di finanza e gli anatemi delle multinazionali timorose che possa cambiare qualcosa nella legislazione di favore, è davvero un bel ritratto di ipocrisia che non sfigurerebbe nemmeno in Italia. Tanto più che il Partito nazionale scozzese è ben più a sinistra del labour. La verità è che proprio l’indipendenza porterebbe prima o poi anche l’Inghilterra a un’inversione progressista: un Parlamento scozzese senza camera dei Lord e dunque libera dai reperti medioevali, eletto con il metodo propozionale, con una Costituzione scritta sarebbe una sfida per Londra. Oltretutto una vittoria del sì contro i ricatti e contro il bombardamento di paura fatta dai media nazionali, significherebbe la vittoria dei cittadini contro l’imponente macchina del potere.
Ecco spiegato perché tutto l’arco conservatore e reazionario teme qualunque c cosa possa incrinare lo statu quo: anche una piccola crepa nella uniforme lotta di classe al contrario può allargarsi a dismisura, mettere in moto processi sopiti e silenziati, ridestare speranze. Così anche l’innocua separazione della Scozia, viene temuta come una iattura.
E si scopre che il potere globale ha tra i suoi alleati più preziosi proprio quelli che dovrebbero battersi contro di esso e che invece sfruttano il credito acquisito in anni lontani nel mondo del lavoro, per umiliarlo con maggiore efficacia. Ma tutto questo lo consociamo bene anche noi, così come conosciamo i nostrani Brown, Wilson e Blair. Che almeno qualcuno li mandi al quel paese.