Ammettendo la mia ignoranza in fatto di arte, mi ha incuriosito questo breve testo che si autopresenta così: “L’interesse di Piero Manzoni per la scrittura ha origini lontane” e così: “La scrittura, permeata da un substrato filosofico, sarà parte fondamentale di tutto il suo folgorante percorso”.
Leggiamolo, mi son detta, magari capisco, direttamente dalle parole di Manzoni, la “Merda d’artista”.
Perché Covacich, in “L’arte contemporanea spiegata a tuo marito” mi aveva incuriosita sul senso delle opere di Manzoni: opere senza valore assoluto in sé, ma solo in quanto prodotte da una determinata personalità e in quanto meta-artistiche (una riflessione sul consumatore d’arte che mangia di tutto, basta che sia firmato).
Bè, in questo testo non ci ho trovato alcun approfondimento filosofico, né alcuna spiegazione delle opere.
Si tratta di una raccolta, il più possibile cronologica, di scritti che si ripetono e si ripetono. Pochi i concetti base: che non basta modificare l’arte esistente, bisogna stravolgerla del tutto; che l’arte è un bisogno inconscio che bisogna liberare da tutto il ciarpame che avvolge la personalità dell’artista per rivelare gli archetipi/miti comuni a tutta l’umanità; che l’arte ha un valore magico.
Posso sottoscrivere i pochi concetti, ma il tizio si ripete all’infinito, un vero copia-e-incolla quando ancora il computer non esisteva. Senza mai approfondire oltre.
Guardiamo alle sue opere: linee (linee vere e proprie, tracciate su un rotolo e chiuse in un contenitore), uova con la sua impronta, firme sulle persone, basi magiche (il “Socle du monde” era una bella idea, ma non è andato oltre), i corpi d’aria col fiato d’artista, gli achromes… Manzoni ripete all’infinito poche idee, ma non le spiega in queste pagine, a meno che non prendiamo quelle due frasi sempre uguali e ci accontentiamo.
Poi: il curatore del testo dice che la pratica di Manzoni con la scrittura ha origini lontane. A cosa si riferisce? Nell’anno in cui l’artista prende la maturità, pubblica un resoconto di viaggio sulla rivista scolastica. (Testo che qui non è riportato, ma dobbiamo fidarci, si tratta di una cronaca “già intrisa del suo spirito ironico e paradossale”). Addirittura un articolo sul giornale scolastico, caspita.
E poi?
Il diario.
Tenuto per ben due anni, dal 1954 al 1955! Dove ovviamente già si vedono spunti interessanti che verranno approfonditi negli anni futuri, no?
Insomma, questo testo non mi ha spostato dalla mia idea iniziale: Manzoni era un furbo con poche idee buone che ha saputo sfruttare al massimo.