C’è un bambino di sette anni che prende un vecchio treno malmesso per attraversare campagne e colline e per affacciarsi dal finestrino e godere del vento sul viso: mica gli interessa cosa ci vada a fare al Pelagallo, il vecchio ospizio che è la loro meta, la giovane che lo accompagna, né perché non sia contenta quanto lui di andarci. Ci sono i pensieri, sparsi lungo un percorso qualunque, di un tale che ne sta per condividere alcuni importanti con un amministratore delegato. Ci sono strani giochi, una sorta di caccia metropolitana tra lo sferragliare dei binari e le facce stravolte dei pendolari. C’è “il tempo vuoto del pendolarismo” incredibilmente “trasformato in quello della poesia”. C’è chi, dopo aver desiderato a lungo un’auto, capisce che solo su un bus dell’Atac gli potrà capitare di godersi il sorriso di Roma, quello che fa sorridere anche te, pure se non lo vuoi. Ci sono gli addii, rapidi, brevi, affilati e taglienti come un racconto di poche parole, che fanno male come un fermo immagine di binari inesorabilmente paralleli in quel ventre caldo e indifferente della terra che è una metropolitana. Ci sono viaggi senza ritorno in compagnia di una vecchia pazza e della voce di un poeta che ha scritto il nome sull’acqua o paralleli a ciò che non si è realizzato e vissuto. Ci sono le paure, che nei ricordi e nella nostalgia dell’adolescenza hanno uno spazio preciso: quello sporco, pericoloso, puzzolente di un sottopassaggio. Ci sono strani incontri che insegnano a dubitare di chi, in uno scompartimento, sfugge gli sguardi e non ha voglia di scambiare due parole. C’è la metropolitana che può diventare una strana terapia dagli esiti dubbi. Ci sono viaggi da incubo in cui manca l’aria ed è difficile dominare un attacco d’ansia oppure viaggi che regalano incontri di sguardi dagli sviluppi interessanti.
Tutto questo e altro ancora in questi ventuno racconti divertenti, alcuni bellissimi, altri tristi, altri stranianti, almeno quanto le fotografie che a ciascuno di essi si accompagna. Racconti spesso brevissimi di viaggi più o meno reali, più o meno lunghi, più o meno piacevoli. Ma un viaggio, qualunque viaggio, reale o simbolico che sia, è soprattutto emozioni, suggestioni, sensazioni, pensieri che si rincorrono, ricordi che si riaffacciano, rimpianti che graffiano, nostalgie che affiorano. Nel grigiore di certa monotona quotidianità, connotata dal precariato e dal pendolarismo privi di riferimenti e certezze, si insinuano speranze, aspirazioni, relazioni curiose, amori a senso unico disegnati su un solo sguardo. E ancora, desiderio di ricominciare da qualche parte, voglia di rifugiarsi nella folla, illusione di dimenticare o di crederci ancora …
Nato da un viaggio in treno al limite del surreale, come capita a tanti nella nostre beneamate ferrovie, vissuto dal curatore dell’antologia Alex Pietrogiacomi, scrittore, giornalista e consulente editoriale, e dal fotografo Gianluca Giannone (che stava raccogliendo scatti tra i pendolari delle prime ore del mattino per un suo progetto), l’agile libretto dal formato tascabile sia avvale dei contributi di ventuno penne, diverse per esperienza, età, sesso, che hanno scritto indipendentemente e, in larga parte, senza nemmeno conoscersi, coordinandosi in un gruppo su facebook. La prefazione è dello scrittore Filippo Tuena, la postfazione del giornalista John Vignola.
Una citazione tra le tante possibili: “ Il treno è abbastanza veloce da non farti pensare, abbastanza lento da lasciarti scrivere, male “.
(di Alessandra Farinola)