Articolo di Mohamed Malih pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 3/2013, Le tentazioni della cultura.
Tutto ebbe inizio più di vent’anni fa, con l’uscita di Io venditore d’elefanti, scritto a quattro mani da Pap Khouma e il giornalista Oreste Pivetta. È la pietra fondante di questo genere letterario. Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia da allora, e di scrittori migranti ne sono spuntati diversi. Il più conosciuto, forse, è Amara Lakhous, i cui libri hanno avuto una discreta fortuna commerciale. Anche Igiaba Scego è abbastanza conosciuta. Ci troviamo, però, di fronte a un equivoco di non poco conto. Igiaba, per quanto di origini somale, è nata e cresciuta in Italia, a Roma. Per cui dire che è una scrittrice migrante è un po’ come dire che l’amatriciana è un piatto etnico. Mi si scuserà la digressione gastronomica, ma, da quando la Parodi troneggia nelle classifiche dei libri più venduti, le ricette culinarie sono diventate un genere letterario a tutti gli effetti. Lasciamo stare, però, gli chef catodici e i loro best seller e torniamo a cuocere nel nostro brodo.
Armando Gnisci e Fulvio Pezzarossa sono, ad oggi, esperti incontestati nel campo della scrittura migrante. Rimando, quindi, a loro per qualsiasi curiosità di tipo antologico, sociologico, etnografico, coloniale e postcoloniale, psicologico e persino psichiatrico (sembra che la tendenza all’interdisciplinarità insita negli accademici venga particolarmente eccitata quando sono chiamati a misurarsi con gli scrittori migranti). Un’altra studiosa destinata a seguirne le orme ereditandone fama e autorevolezza, è Rosanna Morace, che, con il suo recente lavoro Letteratura-mondo italiana, sembra finalmente aver messo tutti d’accordo sull’opportunità o meno di usare la dicitura “scrittori migranti”. La sua proposta è, infatti, quella di inglobare questi foresti scrittori nella formula, appunto, “letteratura-mondo italiana”. Ma è una vecchia, e persino stucchevole, diatriba questa di trovare un'etichetta per catalogare definitivamente gli scrittori migranti; diatriba a cui io qui non ho nessuna intenzione di contribuire.
Quel che, invece, proverò a fare sono alcune considerazioni personali e personalistiche riguardo alla scrittura e agli scrittori migranti, con l’intento di contestare l’assunto secondo il quale si tratterebbe di una sorta di variante della letteratura di viaggio; equivoco, questo, che non mi sembra fin qui tenuto in conto dai critici di questa nuova letteratura.
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