I miei taccuini Moleskine reclamano le attenzioni che, da troppo troppo troppo, nego loro dedicandomi alla scrittura sul web, su Facebook, su Twitter.
Per chiunque ami mettere nero su bianco le proprie trame, internet ha il fascino del canto delle sirene: ammalia, ipnotizza, regala l’illusione del contatto con l’uditorio, della presenza di un pubblico, di un ascolto.
Poi, però, è sano risvegliarsi, da quel dolce sonno, e rendersi conto che si tratta di un inganno.
Certo.. i blog e i social network sono imprescindibili, per ottenere una qualche forma di fugace visibilità, e possono – a sprazzi – rivelarsi fondamentali quando si ha bisogno di non sentirsi troppo soli, puri onanisti della parola e del pensiero. Per chi vuole chiamarsi scrittore, però, la rete non deve diventare il centro di tutto, la principale o magari unica forma di cammino creativo.
Lo dico senza la minima intenzione di discredito, ma proprio perché mi sembra il paragone più azzeccato: per un romanziere – edito o inedito poco conta – la presenza sul web dovrebbe essere ciò che per qualunque persona è la defecazione: una funzione indispensabile per la sopravvivenza (a volte pure piacevole e soddisfacente in sé), ma certo non il perno su cui far ruotare la propria essenza.
Non c’è vera scrittura, su internet, al massimo buone battute, aforismi arguti, paragrafi intelligenti, articoli illuminanti. Neanche l’ombra di un romanzo, però, o di un intreccio degno di questo nome.
Insomma… la rete è uno strumento straordinario, potentissimo, pieno di opportunità. Ma si tratta appunto di uno strumento. La scrittura non centra nulla, la scrittura è altrove, e chi vuole praticarla deve liberarsi dell’incantesimo della letteratura wi-fi.
La natura dell’online e quella del romanzo stanno agli antipodi per DNA. Il testo per internet richiede celerità, immediatezza, sintesi, deve essere esile per permettere agli utenti di assaggiarlo, masticarlo, metabolizzarlo e passare oltre in pochi minuti. Il romanzo invece, se davvero è tale, vuole dedizione, concentrazione assoluta; pretende di impadronirsi in toto del lettore, e non ammette sventatezze o superficialità.
Non sto con questo dicendo che la letteratura sia in assoluto preferibile ai nuovi media. Sto solo confessando che io, per mio gusto personale, trovo molta più gratificazione nella prima che nella seconda.
E ora – per ora – amici miei, non ho più nulla da scrivere. O, meglio, non ho più nulla da scrivere qui.