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Scrivere è come attraversare l’Atlantico in una vasca da bagno On Writing di Stephen King

Creato il 17 maggio 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

CarrieNon si può proprio dire che Stephen King abbia avuto una vita facile. Il padre è scappato di casa quando lui aveva due anni e suo fratello quattro. La madre si è arrabattata per crescere i suoi figli, restando sempre sulla soglia della povertà. Il giovane King era fissato con la scrittura e spediva i suoi racconti a destra e a manca, accumulando uno gran numero di rifiuti. Aveva messo un chiodo nel muro davanti alla scrivania, dove attaccava tutte le lettere di rifiuto. In otto anni di regolari spedizioni ricevette un solo messaggio: “Non usi la spillatrice”. A 14 anni il chiodo non reggeva più il peso dei rifiuti.

A 16 anni però cominciò a ricevere lettere un po’ più incoraggianti. In una, ad esempio, pur continuando a rifiutare il racconto, gli scrivono che è buono e che ha del talento.
Poi lo ritroviamo sposato con due figli: lui lavora in una lavanderia e la moglie in un ristorante. Continua a scrivere dopo il lavoro o durante la pausa pranzo. Può sembrare mitomania, scrive King, ma per lui non era questo gran sacrificio perché si divertiva. Ogni tanto riusciva a vendere qualche racconto poliziesco, o di fantascienza, a riviste per soli uomini, ma la famigliola restava a distanza ravvicinata dalla previdenza sociale. Poi quando cominciò a scrivere Carrie divenne insegnante, ma la loro situazione non migliorò. Erano al limite della sopravvivenza. Vivevano in un grande roulotte, usavano una Buick rotta che non potevano permettersi di riparare, non avevano soldi per le cure mediche e non avevano il telefono.
In quei due anni di insegnamento e di lavaggio di lenzuola, King per la prima volta ha dubitato di farcela. Quello che fu cruciale, è stato il costante sostegno della moglie. Lei non espresse mai un solo dubbio. “Avere qualcuno che crede in te fa una grande differenza. Non c’è bisogno che si lancino in orazioni. Di solito credere è già sufficiente”.

Una prima lezione sulla scrittura l’ebbe quando fu mandato a fare il cronista sportivo per una sorta di punizione scolastica. Il direttore del Lisbon, John Gould, corresse il suo articolo e glielo restituì dicendo: “Ho solo eliminato i punti brutti”. Per il giovane King fu una sorta di rivelazione. Da allora ha sempre cercato di attenersi a questa regola e quando riscrive taglia una buona fetta delle prima stesura, eliminando le parti noiose della storia.

L’anticipo avuto per Carrie fu di 2500 dollari, niente di che ma per loro era una cifra enorme. A quel punto poterono

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andare a vivere in un appartamento al piano terra in città – un vero buco – prendere un’automobile e il telefono.
E’ più o meno a questo punto che Stephen ricevette una telefonata da Bill Thompson, editor della casa editrice di Carry che gli chiede: “Sei seduto?”
“No”: rispose Stephen King. Era in piedi fra soglia della cucina e il soggiorno.
“Devo?”
“Forse è meglio” disse lui.
Poi lo informò che i diritti di Carrie erano stati venduti per 400 mila dollari. Lui restò immobile tra le due stanze ma non riusciva a parlare. Poi gli disse che non ha capito bene. “40 mila dollari?”
“No, 400 mila”: lo corresse lui.
La metà era sua. Era come aver vinto alla lotteria. Scivolò a sedere per terra. Ma ancora non poteva crederci.
“Sei sicuro?”

Oltre al problema della povertà, che Stephen King ha risolto diventando uno degli scrittori più letti e più ricchi del mondo, l’altro grande problema della sua vita fu la dipendenza dall’alcol a cui si aggiunse, nel 1985, quella alla droga.
Anche in questo caso fu la moglie che intervenne in modo decisivo. Raccolse dal suo studio due sacchi pieni di lattine di birra, sigarette, fiale di cocaina, cucchiaini sporchi di muco e sangue, Valium, Xanax, e così via… Stephen King si beveva persino il collutorio. Tabitha rovesciò tutto per terra e gli disse che stava morendo davanti ai loro occhi -suoi e dei figli – e che doveva scegliere: o un centro di riabilitazione, o fuori di casa.
Scrive King: “Alla fine a farmi decidere fu Annie Wilkes, l’infermiera psicopatica di Misery. Annie era la coca, Annie era l’alcol e decisi che ero stanco di essere lo schiavo-scrittore di Annie”.
Naturalmente temeva che non sarebbe più riuscito a scrivere se avesse smesso di bere e di drogarsi. Invece non fu così.
“L’idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legati è una delle grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo”.

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Stephen King non è mai stato d’accordo con la teoria in voga ai tempi dell’università per cui “gli scrittori erano stenografi baciati dalla sorte che ascoltavano dettati divini” (teoria tutt’oggi in voga nel nostro paese), ma al contrario ritiene che il valore della pratica sia impagabile (e bisogna che sia fonte di piacere, non deve essere vissuta come un compito).

Ecco quali sono gli altri consigli che dà in questo misto tra un’autobiografia e un manuale di scrittura che è On writing.

Il primo comandamento
“Se volete fare gli scrittori ci sono due esercizi fondamentali: leggere molto e scrivere molto”. Non c’è modo di evitarlo, non esistono scorciatoie. “Se non avete il tempo di leggere, non avete il tempo, né gli strumenti per scrivere. Tutto qui”.

La via dell’inferno è lastricata di avverbi!
Secondo King gli avverbi sono da evitare per il loro carattere didascalico e prosaico, così come le forme verbali passive (la riunione sarà tenuta alle sette) tanto amate dalla burocrazia e dagli scrittori timidi e paurosi. “Chiuse la porta saldamente”. Che noia quel “saldamente”!

Bisogna sedurre
“Scrivere è seduzione. Parlare bene fa parte della seduzione”. Ecco perché tante coppie cominciano la serata a cena e poi finiscono a letto.

I personaggi
“E se lavorate bene, i vostri personaggi diventeranno vivi e cominceranno ad agire per proprio conto. So che questo mette addosso un certo disagio se non lo avete ancora provato, ma quando succede è un piacere immenso”.

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Se non funziona uccidi!
“Se funziona va bene. Se non funziona buttatelo. Buttatelo anche se ve ne siete innamorati. Hemingway disse: “Bisogna uccidere i propri prediletti”.”

La prima stesura
La prima stesura di un libro, anche se lungo, non dovrebbe durare più di tre mesi, il tempo di una stagione.

Un lavoro difficile, solitario…
“Scrivere fiction, specialmente quando il romanzo è lungo, può essere un lavoro difficile e solitario; è come attraversare l’Atlantico in un vasca da bagno. Ci sono innumerevoli occasioni per dubitare di sé”.

… e molto riservato
Evitate di far leggere quello che avete scritto. Non lasciate cadere la pressione “esponendo ciò che avete scritto al dubbio, all’elogio, o anche alle domande rivolte in buona fede da qualcuno del Mondo Esterno. Quando la storia è ancora “un campo di neve fresca” è meglio che non ci siano “altre impronte che le vostre”.

Dopo la prima stesura…
lasciare riposare il vostro lavoro, come quando si prepara una torta. Per quanto? Dipende da voi ma King consiglia un minimo di sei settimane. In questo periodo resistete alla tentazione di tirarlo fuori e rileggerlo.

Il lettore ideale
E’ bene avere un lettore ideale, una persona per cui si scrive. Il lettore ideale diventa il tramite con il mondo esterno. Il suo è Tabitha, moglie, mentore e story editor. Lei è la persona per cui scrive ed è alle sue reazioni che pensa quando corregge. E’ la sua prima lettrice.

Gli editori
“Inviare i propri scritti senza aver prima studiato il mercato è come giocare a freccette al buio: può darsi che prendiate il bersaglio di tanto in tanto, ma non meritate di centrarlo”.

La presentazione
Quando mandi in giro il tuo racconto deve avere una buona presentazione. “Nessuno ti dà retta se non riesci a presentarti in modo professionale”.

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E ora vediamo come risponderebbe alle tre domande di Cronache Letterarie.

Chi porteresti nella capsula del tempo?
Ci sono un sacco di cattivi scrittori nelle redazioni dei giornali o sparsi alle recite di poesie con i loro dolcevita neri a declamare versi. Poi ci sono gli scrittori normali, quelli competenti. E infine gli dei letterari, l’Olimpo degli scrittori che stanno sopra a tutti gli altri, tipo Shakespeare, Faulkner, Yeats, Shaw, o Eudora Welty.

Leggi tanto, poco o niente e dove ti piace stare mentre leggi?
“Io sono un lettore lento, però mando giù solitamente dai settanta agli ottanta libri all’anno, soprattutto romanzi (e meno male che è lento!). “Non leggo per imparare il mestiere; leggo perché mi piace leggere”. “I libri sono magie portatili” e io ne porto sempre uno ovunque vada, oppure ascolto un audiolibro quando sono in macchina.

Qual è il rapporto fra la letteratura e la vita?
“Sistemate la vostra scrivania nell’angolo e tutte le volte che vi sedete lì a scrivere, ricordate a voi stessi perché non è al centro della stanza. La vita non è un supporto per l’arte. E’ il contrario”.

Un’ultima cosa: “Il momento che fa più paura è sempre quello prima dell’inizio. Poi, può solo andare meglio”.

***

On writing: autobiografia di un mestiere è stato pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer. Putroppo il libro attualmente non è disponibile né su carta,
né in versione digitale.


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