Ieri pomeriggio cercavo alcuni testi poetici che fanno parte del programma di recupero di uno studente. Bazzicando per la rete alla ricerca dei componimenti, (alcuni talmente recenti da non essere stati ancora antologizzati nei portali dedicati agli autori italiani) ho letto per la prima volta i versi della poetessa Daria Menicanti, fra cui uno intitolato Scrivere romanzi. In questa poesia l'attività del narratore è descritta con un'intensità e una capacità empatica tale che penso di poter dire di non essere l'unica scrittrice di romanzi (nel mio piccolo, credo di potermi definire tale) a riconoscersi nella descrizione che la Menicanti fa di questa particolare attività. Il romanzo è descritto come un edificio, come un mondo affollato: lo scrittore deve dividerlo con i suoi personaggi e accertarsi di esprimersi nel modo giusto, lavorando di lima, per poi, inevitabilmente, rendersi conto di essersi separato, attraverso la narrazione, da una parte di sé.
Scrivere romanzi
Da terra si alza con dolce brusio-
mentre tu scrivi- un muro
di parole e di frasi come ignote
e sopra a quello un altro già si inarca
e un altro ancora si annoda a costruire
il tuo numeroso edificio.
Non cerchi gli scalei i segreti passi
e a fatica ti orienti, che lì appunto
tu scopri il tuo essere in tanti
il tuo essere in troppi e con amore
amputi le tue lunghe ambiguità,
amputi e affili e già divieni un nuovo
risonare di voci e di colori
echeggianti l’un l’altro
nel trito di un tremante arcobaleno.
Sempre questo ti avviene quando scrivi:
ti intriga un’oppressione lievitando
multipla: qualche cosa
urge di separarsi da te
e già è altrove e lontano, già con altro-
altro da te- convive e si accompagna.
Daria Menicanti
Sarei curiosa di sapere dai narratori se anche loro condividano la sensazione di immedesimazione nello stato d'animo descritto dalla poetessa e cosa ne pensino gli amanti della poesia.
C.M.