La prima volta che scrissi una poesia fu in terza elementare. Me lo ricordo molto bene perché la poesia piacque: la maestra andò a dire che ero una bambina molto sensibile, portata per le materie umanistiche. Credo mia madre capì subito che non sarebbe stata un’adolescenza facile. Onestamente, non lo fu. Onestamente io ne capisco solo ora la condanna.
La poesia che scrissi era sui rumori che udivo dalla mia finestra. Avevo le finestre in legno e il vetro faceva un tale rumore col vento… un fastidio. Di fronte, gli alberi. Anche questi frusciavano e facevano un casino… per non parlare del flauto del vicino. Insomma feci un elenco, come ogni buona addetta del Novecento. Poi dissi: vado dalle suore, sarà bene dire che tutto quello che sento è il rumore di Dio così mi becco un BRAVISSIMA: il marketing. Mia madre disse che le piaceva.
Freud andrebbe pazzo per tutti i miei sforzi di essere apprezzata da mia madre. Scrivevo cose, temi poetici cose sui fiori paragonati ai suoi occhi. Però questa rideva solo di fronte ai temi di mio fratello che dicevano che la mamma era una gran cosa perché stirava e preparava da mangiare. Sì Freud, proprio così. Sono in verità lesbica perché avrei voluto essere un uomo per essere mio fratello e piacere a mia madre. Sì. Sì Freud, odio gli uomini, sebbene mi divertano certe volte.
Da quella poesia in poi non ne ho mai più scritte, se non qualche poesiola simpatica, volgare, a volte in terzine per scandalizzare gli udenti avvezzi alle rose, alle bionde, all’amore.
Ma poi vedete, l’altro giorno mi è stato commissionato un compito. Scrivi una poesia d’amore. Io l’ho fatto, ascoltando musica francese. Ecco che n’è uscito.
L’amore
Il mio pensiero di contorno
a giornate che scadono
con indulgenza.
Nell’indolenza,
Iil mio pensiero di ritorno
a vagheggiate città
dipinte
La mia speranza calma che
La solitudine non è
l’unico mare
Non il vento
l’unica ragione di tempesta
Non il sole,
l’unico abbaglio.
Oh, secondo me è un buon inizio.
Non è questa la canzone che ascoltavo.