Mentre in Parlamento si discutono Legge di Stabilità e Legge di Bilancio, un dossier del Senato evidenzia quei settori che dal 2008 hanno subito più tagli da parte dello Stato. A pagare la crisi più di tutti è l’istruzione universitaria, -119%.
Se la responsabilità di Governare è innanzitutto la responsabilità di scegliere, questo è maggiormente vero in tempo di crisi. Una responsabilità non facile da avere, specialmente in un periodo economico/finanziario come l’attuale. La gestione della spesa pubblica è un bell’esame per qualsiasi Esecutivo, costretto a scegliere ogni anno quale settore sacrificare a beneficio di un altro.
Il tutto è reso più difficile da un dato ben poco edificante: il 39% della spesa dello Stato serve a “sostenere” il debito pubblico italiano. Questo lascia evidentemente poco spazio di manovra, considerando che quel 39% rappresenta la maggior area di intervento del nostro bilancio. A seguire i trasferimenti di risorse alle autonomie territoriali (14,75%), e le politiche previdenziali. 11,29%.
Se tre settori occupano più della metà delle spese dello Stato, è ovvio che in tempi di crisi alcune aree di intervento debbano subire dei tagli. Dal 2008 a oggi, l’istruzione universitaria ha accumulato un taglio del 119,07%. In tutto sono 15 i settori che sono in saldo negativo dall’inizio della crisi. Il mondo accademico sembra essere la vittima preferita: -73% per ricerca e innovazione e -15,63% per l’istruzione scolastica.
Particolarmente significativi anche i tagli al turismo (-67,11%) e ai beni culturali e paesaggistici (-31,60%).
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