Quello italiano è un popolo di recidivi, anche e soprattutto per quanto riguarda il calcio. Ma, come diceva Churchill, siamo anche un popolo "bizzarro: un giorno 45 milioni di fascisti, il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti..."
Ogni volta che si paventa o si verifica il ritorno di un allenatore di calcio sulla panchina di una società con cui ha già vinto, tutti (giornalisti e non) iniziano a citare la spedizione della Nazionale a Messico '86. Il secondo Mundial di Bearzot è infatti l'archetipo delle "minestre riscaldate", dato che il C.T. privilegiò nelle convocazioni ragioni "affettive" rispetto a quelle meritocratiche (non sono illazioni, lo ha ammesso lui stesso). La sua stessa permanenza alla guida della squadra, dopo la mancata qualificazione a Euro '84, puzzava tanto di "scelta di cuore" da parte della FIGC.
Quando però poi nel 2008 la minestra è stata riscaldata davvero con il ritorno di Lippi, tutti a straparlare di quanto lui fosse l'uomo giusto per rilanciare la Nazionale e a dire che sotto la sua guida avremmo avuto maggiori possibilità di ripetere il successo di quattro anni fa. La gente ha cominciato a ricordarsi di Messico '86 dopo la Confederations Cup dell'anno scorso, quando ormai era troppo tardi.
Ebbene, ho ripescato un articolo del giornalista sportivo Mario Sconcerti scritto il 18 giugno 1986, all'indomani dell'eliminazione mondiale dell'Italia per mano della Francia. Il parallelismo con quanto è accaduto oggi è impressionante: basta sostituire Bearzot con Lippi, e il pezzo di Sconcerti risulta perfettamente calato nel contesto odierno. Via la pipa, ecco il sigaro. E poi provate a negare che chi controlla il passato controlla il futuro.
Non c'è stata partita e tutto sommato non c' è stato nemmeno mondiale. L' Italia torna a casa lasciando la sensazione malinconica di non essere mai partita. Il nostro Mundial stavolta è stato vissuto soprattutto alla memoria.L'unico vero grande credito che perfino Bearzot dentro di sè riusciva a dare a questa squadra era il ricordo di quattro anni fa, la speranza che la rabbia, la concentrazione, quel senso di cittadella assediata che la nazionale si porta dietro ogni volta che la posta si alza, accendessero una scintilla di gioco come allora.
Non è successo, forse non poteva succedere, sicuramente abbiamo fatto pochissimo perchè si accendesse. E' presto per cercare le colpe di una mediocrità disarmante, abissale, vergognosa almeno per quello che di impotente e frustrante ha fatto nascere dentro chiunque l'abbia seguita con la voglia di crederci.
Forse scriviamo a caldo, forse è troppo presto per fare dei confronti sereni, ma questo pallido viaggio messicano si conclude con il risultato più disastroso degli ultimi vent'anni. Nemmeno la celebre disfatta di Middlesborough con la Corea del Nord fu così deludente. Quella almeno fece male. Oggi ce ne andiamo con un senso di impotenza solare, quasi da abusivi del Mundial. E' giusto che il grande calcio continui senza di noi. Ma è anche giusto che da domani, da oggi stesso si cominci a domandarsi se il nostro calcio è davvero tutto qui, piccolo, timido e stanco come questo mondiale ci ha raccontato. O invece Bearzot si è messo alla testa di un lungo, interminabile convoglio di errori.
Ed ora che non siamo più protagonisti, la mia personale speranza è che questo parallelismo col Mundial del 1986 continui fino alla fine. Mi piacerebbe che Diego alzasse ancora la coppa, che tornasse di nuovo a rendere perfetta la sua imperfezione. Per Lippi invece nessuna critica e nessun ringraziamento alla fine della sua esperienza in Nazionale. Facciamo che siamo pari.