L’unico dato in nostro possesso questa mattina è quello dell’affluenza alle urne: alle 22 aveva votato il 43,46% degli aventi diritto contro il 49,67 del primo turno. Calo “fisiologico” per i ballottaggi. Innanzitutto non ci sono più gli amici, i parenti, gli/le amanti, i semplici conoscenti delle migliaia di candidati che speravano di trovare nella politica un possibile sbocco lavorativo. Non ci sono i “delusi” del primo turno, quelli che hanno visto la loro testa di serie diventare una testa di cazzo qualsiasi e hanno preferito andarsene al mare o in montagna con i figli. Infine non ci sono più i disaffezionati tout-court, quelli che è stato già un miracolo che siano andati a votare 15 giorni fa e che una seconda volta non ce li porti manco con il cellulare della polizia penitenziaria. In tutte le realtà nelle quali si sta svolgendo il ballottaggio, queste di solito sono le ragioni per le quali si assiste alla diminuzione dei votanti. Di solito il calo è trasversale, per cui i risultati del primo turno difficilmente cambiano, ma con l’aria che tira non possiamo di certo assumerla come una teoria scientifica, ma solo come una consuetudine "storica". Il gioco (chiamiamolo “fantapolitico”) nel quale possiamo trastullarci in attesa delle fatidiche proiezioni delle 15.00 e qualche minuto, è quello del dopo Silvio: cercare di immaginare cosa potrebbe accadere se... Come crediamo si sia ampiamente capito, il fulcro intorno al quale ruota il futuro della politica italiana è la Lega. Le notizie che provengono da Varese farebbero propendere verso l’ipotesi di una Lega ansiosa di smarcarsi da Berlusconi. La base è in fermento, i lùmbard cominciano a stancarsi di reggere il moccolo a Silvio e la “legalità” sulla quale avevano basato il loro orgoglio padano dai tempi di Mani pulite, è stata messa a dura prova. A Varese, dicevamo, Bossi si è accorto che al comizio finale c’era molta meno gente del solito, un segnale bruttissimo per uno che muove le folle. Non solo. I candidati sindaci erano tre: un leghista, un pidiellino e un pd. Al ballottaggio sono andati il leghista e il pidiellino ma la novità è che la Lega ha trovato l’appoggio dell’Udc per il rush finale. Se non è una notizia questa! Stesso ragionamento possiamo farlo per Gallarate, l’unica differenza è che cambiano i protagonisti del ballottaggio. Il blocco di partenza è lo stesso: tre candidati sindaci, uno della Lega, uno del Pdl e uno del Pd. Per la fase finale il candidato leghista resta fuori: "ballottano" il pidino e il pidiellino. La Lega appoggerà il candidato del Pd (è vero, non abbiamo dimenticato la “l”). Bossi, insomma, ha aperto due laboratori che la dicono lunga sulla stanchezza dei leghisti nei confronti del berlusconismo. Ma spostiamoci verso Sud. Non è un caso che a Macerata, Casini e D’Alema abbiano chiuso insieme la campagna elettorale per le provinciali, e non è un caso che, da un po’ di tempo, si fa un gran parlare del “modello Marche”, nel quale il Pd e l’Udc governano insieme. Bossi si è interessato parecchio all’esperienza marchigiana, tanto che sta decidendo se entrare a farne parte oppure lasciarsi travolgere dalla disfatta di Silvio. C’è un fatto che attizza parecchio il Senatur, sia D’Alema che Casini sono favorevoli al ritorno della legge elettorale proporzionale che è il vero “pallino” di Umberto Bossi. Con il proporzionale, infatti, la Lega potrebbe rappresentare l’ago della bilancia della politica italiana (e correre da sola), il Terzo Polo contarsi, il Pd fare a meno delle nefaste (per il partito) primarie e di conseguenza tentare l’avventura con l'Udc e la Lega senza la presenza imbarazzante di Vendola e Di Pietro. Uno scenario peggiore di quello che stiamo vivendo con, oltretutto, il ritorno in pompa magna (più magna che pompa) della vecchia e mai dimenticata politica dorotea di democristiana memoria. Tutti chiedono a gran voce la fine dell’interregno berlusconiano, noi, da sempre, ci poniamo la domanda “con chi sostituirlo”? Se questa dovesse essere la soluzione, occorrerà pensarci molto attentamente perché essere governati da D’Alema, da Bossi e da Casini non è sicuramente un guardare al futuro con ottimismo. Se due indizi (Varese e Gallarate) già di per sé fanno una prova, il terzo rappresentato da Milano dovrebbe essere la certezza dell’inciucione che sta per andare in scena. Milano è stata abbandonata non solo da Gigi D’Alessio ma anche da Berlusconi e da Bossi. La Batman-Mom ha chiuso la campagna elettorale in perfetta solitudine (quella di Formigoni non può essere considerata una presenza significativa) e le ultime uscite sono state contraddistinte dalle bordate di ululati rimediate. Che Laetitia sia finita lo dimostrano i fischi a Massimo Boldi (Cipollino) ieri al Giro d’Italia, quando il panettone del nostro cinema ha tentato un ultimo, disperato spot elettorale fuori tempo massimo e contra legem a favore della sindaca uscente. Ma lo testimonia soprattutto il defilarsi dell’enfant prodige della Lega, Matteo Salvini, che ha rinunciato a correre per il posto di vicesindaco e ha finito per disinteressarsi completamente dell’ultima fase della campagna elettorale. Anzi, con la scusa che è da sempre un fan accanito di Elio e le Storie Tese, venerdì sera il Matteo nostro se n’è andato al concerto della band milanese a sostegno di Giuliano Pisapia, un vero e proprio englishman. Salvini, al primo turno, aveva preso quasi 9mila voti, inutile domandarsi il perché del calo dei votanti a Milano, la risposta è tutta nei piccoli fatti e non nelle grandi teorizzazioni. Non è ancora finita, per un’Italia diversa occorreranno ancora decenni mentre cresce in noi la convinzione che sia stato Silvio a trombare D’Alema come ministro degli esteri europeo. A lui fa molto più comodo averlo in Italia che ramingo per il mondo.