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Certo non ci sono verbali, ma siamo proprio convinti che la vicenda delle statue non sia in qualche modo scritta? Chi ci legge la data del VI secolo e quanti quella del VII secolo, lo fanno perché sanno leggere e interpretare quella particolare scrittura lasciata sulle pietre dalle stratigrafia; altrettanto sanno leggere coloro che, invece, le datano del X-XI secolo. Ma mentre dei primi ci sono saggi e pubblicazioni, dei secondi esiste una sintetica informazione nel sito montiprama.it (“...un’altra [ipotesi] che si spinge fino alla fine del primo millennio a.C.”) e qualche indiscrezione lasciata andare a qualche giornalista.
C'è poi un'altra datazione più antica non legata alle statue ma di cose lì trovate. È quella che Gigi Sanna fa delle tavolette di Tzricotu, dal nome del nuraghe nei pressi di Monti Prama, dintorni che non sono stati scavati e ai quali scavi si pensa di procedere in un futuro indefinito. Su tutto aleggia una confidenza, fatta a Leo Melis e da lui riportata su questo blog, secondo la quale ci sarebbero “colleghi terrorizzati” da una datazione alta. Una datazione, come si può comprendere, non è uguale ad un'altra; non è indifferente alla conoscenza della storia del Mediterraneo (e alla sua possibile conferma o riscrittura) datare le statue al VII-VI secolo o all'XI-X secolo.
Quattro o cinquecento anni di differenza non aggiungono né tolgono qualcosa alla grandiosità del tempio che ospitò le statue o i telamoni, la differenza sta nel considerare chi ispirò chi e nel sapere se i nuragici furono importatori, comprimari o anche esportatori. Il professor Marco Rendeli smentisce di aver mai detto che furono artigiani assiri a costruire le statue, come Mauro Peppino Zedda asserisce di aver sentito. Di entrambi non è lecito mettere in discussione la buona fede, ma le cose non tornano. E invece tutti vorremmo che tornassero.
Altrimenti quella rude schiettezza dell'amico Franco Laner, da forte battuta rischia di trasformarsi in una sconsolata e desolante constatazione che nella archeologia sarda qualcosa di grave sta capitando.
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