Se a trentacinque anni ci si suicida per un lavoro perso

Creato il 03 maggio 2012 da Nicola Spinella @ioparloquantomi

Un caso di suicidio, probabilmente imputabile alla crisi economica in atto, sconvolge la comunità di Gravina di Catania (CT). Un salto nel vuoto che dev’essere parso liberatorio al 35enne che da qualche mese aveva perso il lavoro. Ed il governo sta a guardare…

Scusate per il casino. L’eloquenza dell’immagine non lascia spazio ad equivoci. C’è un killer che non dà scampo. Agisce sulle coscienze, sfiancandole, opprimendole, aggredendole nel profondo. Semina il dissenso nella comunità dei cittadini, li minaccia (più o meno) velatamente qualora decidano di ribellarsi: c’è un killer che non dà scampo ed il suo nome è Stato.

E’ lo stesso stato che prova a raggirare la nazione, assumendo un ex socialista  e non esitando a definirlo tecnico: tralasciando i processi alle intenzioni (mettere Amato alla supervisione del finanziamento ai partiti è come affidare lo smaltimento scorie nucleari ad Ahmadinejad), come se la squadra dell’oratorio ingaggiasse Roberto Baggio per sfidare i diavoli di Peppone. Ma tant’è, ormai si tende ad attribuire un significato diverso alle parole ed anche un esponente della primissima repubblica, un amico di Craxi come quell’altro per intenderci, è visto come una ventata d’aria nuova.

Il governo è un marito che ha perso l’interesse per la moglie Italia, bella ed affascinante consorte, maltrattata e troppe volte tradita dalla classe dirigente. Ma la Signora non ha ancora alzato la testa per reagire duramente, per ora si limita unicamente ad odiare il mercenario consorte e ad augurargli ogni giorno i mali peggiori.

Ma questo non basta ad ingenerare rimorsi di coscienza, impone anzi una reazione volta a ridimensionare le misure del disagio.  Monti parla di situazione non drammatica: la Grecia sta peggio di noi. Ottimi argomenti giustificativi, per rispondere positivamente ad un disagio sociale che monta, giorno dopo giorno. Si vede la tempra del vero leader, del bocconiano di ferro.

Abbiamo scherzato: la “disempatia” di questi ricchi tecnici bank-o-kratici nei confronti della società civile, impedisce loro di poter comprendere appieno il dramma insito in una giovane vita spezzata a soli 35 anni, uccisa dall’incuria di uno stato che non ha interesse a preservare in salute la sua forza lavoro.

Licenziamento, disoccupazione, indigenza, suicidio: il percorso è ormai tracciato e nessuno ha intenzione di porvi rimedio ed adottare quelle misure che potrebbero far ripartire l’economia reale, invertendo una pericolosa tendenza.

Invece, a palazzo Kigi provano a giocare al rialzo: dicono che rispetto alla Grecia, spauracchio in odor di default, qui non si è ancora suicidata abbastanza gente. Perché il suicida è un debole, uno di cui il nuovo ordine mondiale non potrà avere bisogno. Chi se ne frega di una, dieci, cento vite spezzate. 

E’ un dramma: un gravinese di 35 anni ha trovato la forza di rassicurare la madre, è salito al quinto piano dello stabile in cui abitava con l’anziana donna ed ha avuto accesso al terrazzo: non è bastato l’amore di chi lo diede alla luce a distoglierlo dal suo intento.

Scavalcare il cornicione, chiudere gli occhi, il battito si fa sempre più forte, le mani sudano freddo.  ripensare all’infanzia, ai primi amori, ai successi e alle sconfitte di una vita. Chi può dirci quali siano stati gli ultimi pensieri che hanno attraversato la mente di chi ha deciso di lasciarsi andare tra le braccia dell’oblio?  Si sarà sentito un fallito per aver perso un posto da commesso, forse.

Magari, lo speriamo, avrà affidato l’anima al Creatore, cui avrà chiesto perdono per aver ceduto alla debolezza di deporre le armi, di arrendersi. Inutile parlarne, inutile discuterne, ci ritroveremmo sempre al punto di partenza: quello di un governante che guadagna troppo e non sfavorisce certo i suoi degni compari, e di un povero che fatica a tirare la metà del mese e decide di farla finita perché non potrà più sopravvivere. Assurdo. Illogico, ma forse funzionale ad un certo modo di gestire le cose. D’altronde, come abbiamo imparato dai media compiacenti, la colpa della crisi è da attribuire all’evasione fiscale, mica all’ €urofollia di chi ha preteso di regolare allo stesso modo realtà statali completamente diverse tra loro, o agli sprechi della pubblica amministrazione, o magari agli esorbitanti costi della politica. Quella è roba per qualunquisti e demagoghi, ovviamente.

Guai a distogliere l’attenzione dalle vere cause. Guai a colpevolizzare i nostri cari dei quali sicuramente non riusciremmo a condividere l’idea di farla finita senza combattere fino alla fine, contro un governo di aristocrazie che va spazzato via insieme al vecchiume che lo ha ispirato. Che al bocconiano piaccia o meno, la colpa dell’ecatombe di imprenditori e lavoratori che si estende da Livigno a Lampedusa è da attribuire al clima di sfiducia creato dai provvedimenti voluti dall’Unione, che sta ignorando il profondo clima di disordine che rischia di prendere piede nella nazione più vessata della morente area euro.

Non c’è tempo da perdere: serve una nuova politica sociale e di sostegno. E se l’Europa vuole imporre ancora i suoi diktat, che si fotta tutta: la nostra dignità di Italiani, eredi del mondo Romano, scopritori del nuovo Mondo non si può svendere per quattro banconote di carta colorata.

Viva l’Italia insomma. E vivano tutti i martiri della crisi, nei nostri ricordi, nei nostri pensieri, nelle nostre preghiere. Ma soprattutto, nella nostra lotta all’oppressore.


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