di Maria Rita D’Orsogna
dal Blog No all’Italia Petrolizzata
People want not only fresh air and clean water, they want a stronger voice about what’s happening around them
Sono tornata a casa, a Los Angeles dopo un mese di incontri, avventure di vario genere, persone, storie, stanchezza, petrolieri infiltrati, mucche, laghi, città d’arte e mani da stringere.
Delle tante cose di cui parlare, una che mi colpisce accade in Cina.
Ci sono stata l’anno scorso a Pechino, e prima ancora a Shangai. Il cielo di Novembre un anno fa era pesante, grigio anche quando si intravedeva un pallido sole, e l’aria si sentiva che era sporca. Ricordo un grande senso di affollamento, di martellamento mediatico, nel metrò, per strada e in generale si vedevano proprio le due facce della nazione: la voglia di progresso, di parlare e confrontarsi con gli occidentali, ma anche un disordine urbano, sociale, senza ordine. Al paragone le città americane sembrano bastioni di eleganza e di grazia.
Ricordo anche che quando feci il mio talk sul petrolio d’Abruzzo e d’Italia all’Università di Pechino, proprio un anno fa, gli studenti mi dissero che cose del genere non sarebbero mai potute succedere lì: il governo centrale è troppo forte, arrivano, decidono, e chi si è visto si è visto, incuranti del popolo e che per questo la gente neanche si scomoda a porseli certi problemi.
E invece… invece la protesta popolare riesce a smuovere le montagne anche in Cina.
È notizia di queste ore infatti che nella città di Ningbo, non distante da Shangai, la popolazione è insorta compatta contro l’espansione di una fabbrica petrolchimica che produce paraxylene – PX – che è usato nella produzione di plastica e poliestere.
La ditta proponente è la Sinopec, la grande e potente ditta di stato del petrolio in Cina. Si parlava di 8 miliardi di dollari di investimenti.
I cittadini si sono organizzati con i microblog, e tutto ciò che internet e gli smart phone hanno da offrire e – censura o non censura – sono scesi in piazza per vari giorni, protestando contro l’ampliamento. Erano 5.000 e protestavano perché per questo ampliamento nessuno li aveva consultati. Ovviamente sono preoccupati per l’inquinamento e per la loro salute.
A volte ci sono stati anche episodi di violenza. Questa è ovviamente sempre da condannare, ma la persistenza dei cinesi ha portato al risultato: il governo centrale ha deciso di bloccare l’ampliamento della ditta petrolchimica. Non si sa come andrà a finire, ma già l’annuncio è un passo in avanti.
La prima protesta per l’ambiente fu a Xiamen, e durò per mesi. Adesso invece è durata solo per pochi giorni: probabilmente perché c’è il congresso del partito comunista fra qualche giorno, inizia l’8 novembre, e nessuno voleva intoppi di immagine dall’alto.
Ma sono sicura che senza dei 5.000 niente di tutto questo sarebbe successo.
E la cosa interessante è che le proteste persistono anche dopo l’annuncio dal governo centrale che l’impianto del petrolchimico non si farà.
Si vuole infatti mettere il governo alle strette e che no sia no e che non invece diventi sì, appena le acque siano calme.
E non è neanche la prima volta: impianti simili per la produzione di PX sono stati fermati a Xiamen e a Dalian, e hanno fermato anche una conduttura di acque di scarto da una ditta di carta attraverso la cittadina di Qidong, per paura che ci potessero essere rotture o scoppi in una zona soggetta ad uragani.
A Shifang hanno invece fermato la costruzione di un impianto per il trattamento del rame e di molibdeno per timori di aumento dei tumori.
Per quel che so io dei cinesi, sono un popolo pragmatico che, specie adesso, è molto proiettato verso il business, il successo, la "modernità". Sono sempre i più affamati – di imparare a scuola, di crescere nei loro business e badano poco al sottile.
E allora se anche dalla Cina capiscono che l’ambiente va protetto, e non per sport o perché va di moda, ma perché l’ambiente sei tu, e allora forse non è troppo tardi.
Fonte: No all’Italia Petrolizzata 30 Ottobre 2012