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Se basta un clic per dirsi designer, chi lo sara' realmente?

Creato il 22 marzo 2011 da Afrodite
"Se Leonardo da Vinci vivesse nell'epoca attuale rimarrebbe choccato sapendo che per essere considerato un grande artista dovrebbe parlare come un intellettuale, scegliere vini come un enologo, cucinare come un gourmet, cantare come Frank Sinatra e ballare come John Travolta".
La provocazione è di Luli Radfahrer che in un articolo pubblicato sulla Folha de S. Paulo il 9 marzo scorso si domandava: "Se tutti vogliono essere artisti nell'epoca del fai-da-te, qualcuno lo sarà realmente?".
Nel mirino del giornalista brasiliano ci sono le nuove tecnologie, che avrebbero fatto piazza pulita di un fondamento per lungo tempo considerato irrinunciabile: il talento si sviluppa solo se è accompagnato da una pratica costante. Oggi invece basta qualche clic e tutti possono dirsi designer, fotografi o musicisti.
Ma sotto accusa è anche la tivù, con le fiction ambientate in tribunali e ospedali dove più che lo studio e la pratica sembrano essere la bellezza e la disinvoltura i requisiti fondamentali per diventare bravi medici o avvocati di successo. Del resto, si sa, "calli e vesciche non sono per niente sexy", ironizza Radfahrer.
Già, ma a chi giova tutto ciò? Questo il nostro giornalista non se lo chiede, limitandosi a osservare che il risultato di questa situazione sono "crisi di autostima ed epidemie di depressione", che a loro volta hanno come "effetto collaterale una società composta da persone insoddisfatte, egocentriche, disorientate e insicure".
Non conosco abbastanza a fondo la realtà brasiliana per poterne discettare e perciò colgo la provocazione del collega per rispondere alla domanda "a chi giova?" a partire dalla situazione italiana.
Nel Belpaese, dove la disoccupazione giovanile sfiora la cifra record del 30%, le nuove assunzioni avvengono quasi solo con contratti a tempo determinato. Secondo i dati forniti dal sito www.lavoce.info i lavoratori con contratti a termine o in part-time involontario (tecnicamente sotto-occupazione) al Dicembre 2010 erano saliti  a 4.145.113 e il fenomeno è destinato a crescere se continuerà l'assenza di politiche volte a ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro.
Se oggi lavoro in un call-center e fra sei mesi da Mc Donald's, se oggi faccio l'agente immobiliare e fra sei mesi o un anno finisco a distribuire volantini, perché mai mi devo professionalizzare?
Del resto, economisti e politici non vanno predicando da anni che quello che conta è "essere flessibili"? E da quando in qua flessibilità fa rima con professionalità?

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