Le parole del leader leghista Umberto Bossi suscitano il disgusto tra gli italiani che vivono quotidianamente la crisi e mettono in risalto l’arroganza che da qualche anno è attributo indefettibile della casta.“Sono soldi nostri, possiamo anche buttarli”. Una frase del genere sottintende due diverse linee di pensiero, partendo da un assunto che sembra ispirare la perversa affermazione: se è vero che i soldi possono anche essere buttati non si capisce perché Equitalia&co. richiedano sempre più spesso agli italiani di impegnarsi nel traffico di organi umani, vendendo al migliore offerente reni e polmoni. L’altra tendenza, quella maggioritaria per le persone di buon senso, interpreta la bizzarra affermazione come l’ennesimo scivolone di Umberto Bossi, leader simbolico di una lega slegata che rischia di affondare alle prossime amministrative.
Anche il sarcasmo diventa esercizio stilistico estremo, difficile da eseguire: sembra che non si debba portare rispetto a coloro i quali vivono quotidianamente situazioni drammatiche di cui i mezzi di informazione riferiscono, seppur nel freddo distacco semantico di Mario Monti che ha finalmente scoperto la perifrasi: prova forse vergogna a pronunciare la parola “suicidio”, è consapevole dei morti che ha sulla coscienza, ammesso che banchieri, finanzieri, politici e massoni ne abbiano una.
Il colloquio del premier con la presidenza della repubblica sottolinea una velata paura per il disastro sociale che è sul punto di esplodere.
Le statistiche parlano di tre milioni di inattivi che rinunciano a cercare lavoro: tra paghe da fame e prezzi dei carburanti e delle assicurazioni alle stelle, c’è persino chi trova più economico non cercare lavoro o dedicarsi ad altro. E’la soluzione di chi rifiuta di sopravvivere per pagare accise, tributi e privilegi delle lobbies, di chi preferisce vivere di stenti perché non lavora e non perché deve pagare la laurea al figlio di Bossi.
Quello stesso Bossi osannato dal becero patriottismo di una terra che non c’è, duro e puro come il Grana, quello che raccoglie l’acqua in un’ampolla e con un partito che investe in oro e diamanti i proventi del finanziamento pubblico. Già, perché “quei soldi” (anche quelli utilizzati per pagare casa a Calderoli) sono soldi del Carroccio. Il fatto che siano usciti dalle tasche di un tassista od un macellaio, del Veneto o della Lombardia, non ha molta importanza: una volta che quei soldi son diventati patrimonio della Lega, il partito di Bossi potrebbe anche “buttarli”.
Orde di disoccupati, indebitati, cittadini senza sussidi, cassaintegrati, si domandano a gran voce dove vadano Bossi e compagni a “buttare” questi denari, offrendosi come volontari per lo smaltimento delle banconote più scomode, quelle da 500 euro che i cassieri leghisti non riuscivano a piegare dentro ai portafogli.
Nessun rispetto per chi sceglie di farla finita, nessun rispetto per chi lascia la propria terra. Soltanto la strenue difesa delle proprie prerogative. A ben giudicarne l’operato, l’unica cosa in cui Monti può vantare il titolo di cui si fregia è il fallimento: non riesce ad azzeccarne una, il professore. Non tocca i privilegi della politica per garantirsi sostegno parlamentare per garantire banche e potentati.
Forse è l’alba di un rinnovamento in cui l’arroganza dei partiti è legittima e legittimata. E’ auspicabile un’inversione di tendenza, da registrare (speriamo) sin dalle prossime amministrative, in cui la lega, potrebbe accusare una debacle di proporzioni catastrofiche, ispirata dai troteschi fatti e dalla capretta espiatoria Rosy Mauro, insieme al fido Belsito.
Dar buca a questi rozzi interpreti del disagio popolare, teorici di entità politico geografiche inesistenti, sarebbe il modo migliore per dare un segnale di cambiamento. Speriamo bene.