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"Se fossi fuoco, arderei Firenze" di Vanni Santoni

Creato il 06 febbraio 2012 da Sulromanzo

fossi fuoco, arderei FirenzeDa fiorentino non potevo non leggere Se fossi fuoco, arderei Firenze, libro che mi aveva procurato una certa curiosità già alla sua presentazione. Ma dopo averlo preso in mano una prima volta, sfogliato e letto velocemente le bandelle, l'avevo riposto tra gli scaffali della libreria; ero sicuro che le sue pagine mi avrebbero smosso qualcosa, riportando a galla i sentimenti contrastanti nutriti per questa città, e così, quasi impaurito, non me l'ero sentita di acquistarlo. Avevo dunque fatto passare un po' di tempo e poi ero tornato a comprarlo. Sapevo già che ci avrei scritto su qualcosa. Una volta letto, infatti, le parole mi erano venute fuori da sole, come in un racconto che attende soltanto di uscire.

Vanni Santoni è un autore giovane e talentuoso, dotato di una scrittura originale eppure già esperta, consolidata nello stile e appassionante nella capacità narrativa (finissime e fedeli, persino commoventi certe descrizioni, in particolare quella sui “lampredottai” e quella sulla Firenze degli anni ’80). Il suo linguaggio mescola il nuovo al vecchio, concedendosi pure l'uso di qualche termine desueto, tuttavia senza farlo pesare. Se fossi fuoco, arderei Firenze regala una girandola di personaggi (ventitré in totale) attraverso una struttura che pare una specie di piano sequenza cinematografico, un’unica ripresa che vede però un susseguirsi di interpreti; è come se la macchina da presa passasse da un personaggio all’altro nel momento in cui l’ultimo incontra quello precedente. E se si vuole continuare con questo giochetto, non si può che paragonare il libro a un film di Robert Altman, racconto corale di generazioni e stili di vita a confronto, ma anche amalgama di speranze e delusioni, dubbi e certezze, supposizioni e dati di fatto. La trama ha uno sviluppo che sembra slegato e invece si rivela circolare (alcuni personaggi descritti nella prima parte ritornano più avanti). Curiosa poi la citazione circa il film Jacob’s ladder, in Italia stranamente intitolato Allucinazione perversa (anziché Scala di Giacobbe, se si fossero attenuti alla traduzione, peraltro riferimento biblico).

Il titolo di questa insolita guida-romanzo (all'inizio del libro si può trovare anche una mappa della città, in cui sono segnati tutti i luoghi nominati) è tratto dal celebre sonetto di Cecco Angiolieri, già ripreso da Fabrizio De Andrè in una sua canzone (anche lui viene citato). Nella città raccontata da Vanni Santoni i protagonisti corrispondono ai profili più svariati: studentesse americane, ragazzi modaioli, tipi alternativi, sballati, “punkabbestia”, snob, sognatori, cinici, viziati, arroganti, ingenui, pseudoartisti che siano fotografi, scrittori, pittori, registi. Una città vista da varie prospettive, in un'analisi cruda e reale di ciò che veramente è oggi: Firenze, crogiolo di arte e cultura che però campa di rendita con il proprio glorioso passato, passato che rimane sul fondo, impossibile da raschiare e anzi sempre pronto a ricordare che non sarà più come prima (come scrive l’autore, forse in maniera brutale ma che al contempo rende perfettamente l’idea: “Chissà, forse Firenze è ormai inadatta a produrre arte, la sua aura è ormai lisa, spanata, sputtanata”); Firenze, così chiusa, che non dà confidenze, quasi ti respinge e tu ne rimani comunque inevitabilmente attratto, ti senti legato a lei e non riesci a spiegarti perché sia tanto difficile abbandonarla; Firenze, un posto in cui la bellezza è accecante, forse troppo per sopportarla, e in ogni angolo si respira la storia, la tradizione, quel dannato passato, ma alla fine devi anche fare i conti con il suo lato più moderno, quello commerciale, che si riflette nell'impietoso crocevia di turisti – flusso continuo che spunta da ogni via del centro e si ritrova nelle piazze principali – e nei locali pieni di facce così poco italiane, di accenti così poco fiorentini; Firenze della Fiorentina che fu, ovvero di Antonioni e poi di Baggio; Firenze che se ci capiti non riesci ad abbandonarla, diventi incapace di liberartene, e se vai via poi finisci per ritornarci. La Firenze di adesso, insomma.

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