Se i trans fanno le hostess di volo. Riflessioni sul “terzo sesso” in Thailandia

Da Milleorienti

Dal 17 al 20 febbraio a Milano si tiene la Bit-Borsa Italiana del Turismo (se ne parla anche qui). Fra le mille notizie che in questi giorni circolano sul mondo dei viaggi ne arriva una curiosa dalla Thailandia: la nuova compagnia aerea thailandese P.C. Air ha aperto le assunzioni di personale di volo – hostess e steward – anche ai/alle transessuali. Un centinaio di loro hanno partecipato alle selezioni e tre sono già state assunte, fra cui la vincitrice dell’edizione 2007 del concorso nazionale di bellezza per trans, Thanyarat Jiraphatpakorn. «Ho realizzato il loro sogno di diventare hostess» ha dichiarato il presidente della linea aerea, Peter Chan: «La nostra società è cambiata. E’ l’evoluzione. Io sono un pioniere e credo che presto altre organizzazioni seguiranno questo modo di pensare».

La cosa che può suscitare perplessità è che le trans sono state assunte “in quanto tali”: verranno infatti contraddistinte da un badge dorato che le identifica appunto come appartenenti a quello che in Thailandia è chiamato il “terzo sesso” (in thailandese kathoey). Perché, mi domando, identificarle con un badge? Per capirne le ragioni sono andato a rileggere un libro su Bangkok.

La Thailandia è il Paese al mondo con il maggior numero di transessuali. I kathoey non vanno confusi con i comuni gay, perché il tratto distintivo dei kathoey è il travestimento; per capire qualcosa della loro importanza nella cultura thailandese mi sono riletto le pagine a loro dedicate in  uno splendido libro di viaggio, Bangkok di Lawrence Osborne (titolo originale Bangkok Days, edizioni Adelphi 2009, traduzione di Matteo Codignola). Vi riporto qui sotto dunque alcuni passi in cui si parla dei kathoey.

«Se non capisci i kathoey non capisci Bangkok. I buddhisti hanno una spiegazione tutta loro, che parte dalla tolleranza profonda dei Thai per tutto quanto riguarda la sfera dell’amore….L’idea è più o meno che i peccatori prima si reincarnano come kathoey, poi rinascono eterosessuali. Sarebbe a dire, in una vita precedente siamo stati tutti kathoey….Se ci pensi ti gira la testa. In un’altra vita ogni donna è stata un uomo e ogni uomo una donna. E tutti e due, uomini e donne, sono stati transessuali. C’è di che diventare tolleranti, non credi?». (pagg. 239-240).

«In alcuni miti di creazione Theravada (la Scuola degli Anziani, forma di buddhismo prevalente in Thailandia, ndr.), molto diffusi nella regione settentrionale dei Lanna, i progenitori della razza umana non sono due, come Adamo ed Eva, bensì tre: un uomo primordiale, una donna primordiale e un ermafrodita primordiale». (pag. 240).

«Il termine kathoey potrebbe addirittura essere prebuddhista. E nel buddhismo il travestito, quello che oggi chiameremmo il transgender, viene ammesso anche ai livelli supremi. Nel Vinaya ad esempio – cioè nella sezione del Canone buddhista che si occupa del comportamento dei monaci – i casi di monaci che cambiano sesso, diventando donne, non vengono considerati degni di nota….I buddhisti Thai sono un po’ meno concilianti, in quanto pensano che diventi kathoey chi, in una vita precedente, ha commesso peccati gravi….E tuttavia, proprio perché sconta una predestinazione, il kathoey non viene ritenuto responsabile del suo stato. Né a lui né all’omosessuale, cui talvolta somiglia, sono ascritte colpe karmiche: nessuna delle due condizioni è vista come peccaminosa. “Cambiare sesso” dice Bunmi, un autore buddhista, “non è peccato. E’ peccato non seguire, nel sesso, la retta via”» (pagg. 241-242).

E voi, cari lettori, che cosa ne pensate?


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