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Se il libro è tuo e te lo racconto io. Adulti che parlano di libri per bambini

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

letturaNoi adulti abbiamo il difetto di voler spesso trovare un significato nei libri per l’infanzia.
Anzi, peggio: a volte quello che andiamo cercando è un insegnamento,  molti – mi infastidisco pure a scriverlo – vanno addirittura a caccia di una morale.

(Fateci caso: non ci accaniamo allo stesso modo con le pubblicazioni per l’età adulta. Là lasciamo che fluisca il piacere delle lettura, il puro godimento della pagina e riusciamo a pronunciare un giudizio finale che non sia influenzato da quanto abbiamo imparato – o non imparato – dal libro)

Questo è piuttosto sbagliato.
Non tanto perché i libri per bambini non abbiamo significati, ne hanno molti, sovente moltissimi. Spesso – per fortuna! – sono storie ricche, anche profonde, capaci di orientare pensieri e sentimenti, muovere riflessioni, innescare processi di crescita. Proprio perché si indirizzano ad un’età duttile, fecondissima e viva, sono materiale importante, da non sottovalutare o classificare come letteratura di serie B. Ma non per questo sono da vivisezionare alla luce della nostra lanterna categorica e – diciamocelo – un po’ saccente.

Noi adulti quando parliamo di libri per bambini ci mettiamo su un piedistallo, ci poniamo alla cattedra con la bacchetta ben salda in mano e avanziamo dritti lungo i nostri schemi tracciati alla lavagna (col gesso che scricchiola un po’) a suggerire che il tal albo insegna questo, l’altro suggerisce chissà cosa, l’uno sarebbe adatto a chissàchi, e via così…

Dovremmo invece – a mio parere – scendere dalla scaletta e su quella far salire il bambino, quello attuale e quello che siamo stati.
Osservarlo, metterci noi nei panni suoi (e non pretendere che lui segua noi nel cammino che tramite il libro vogliamo indicargli), immaginare i suoi punti di vista, chiamare a raccolta i nostri sensi d’infanzia sopiti e lasciare che quelli ci guidino nel giudizio e reimparare a far fluire la fantasia.

Mettere al centro la storia, sentirne il potere, comprendere che la prima leva su cui un libro fa forza, prima ancora di arrivare al senso, è l’immaginazione.
Tramite l’immaginazione e la capacità di vivere un racconto si arriva poi all’immedesimazione con personaggi e situazioni e quindi , eventualmente, all’elaborazione emotiva e cognitiva.

Non fare tabula rasa di senso davanti al libro, questo no, non sminuire la varietà e la ricchezza che si cela dietro le pagine colorate, raccontarla anche aprendo finestre sulle varie strade che da essa possono partire.
Utilizzare addirittura la nostra esperienza adulta per andare oltre le righe, per concatenare, suggerire, ispirare.

Ma mai insegnare, mai pensare di guidare, mai illudersi di condurre.
Avere ben presente che il libro, la storia, porta ciascuno in un paese diverso, è un anello a cui ognuno attacca la propria sensibilità per costruire monili unici, magari simili tra loro, a volte diversissimi, sempre preziosi.

Cosa deve fare allora un adulto che cerca di raccontare i libri ai bambini?
Che vorrebbe condurli nel magico mondo della lettura convinto che una volta che vi abbiano messo felicemente le tende essi possiederanno uno strumento di salvezza in più?

Io credo che debba innanzitutto amare i libri. Sembra scontato, lo so.
Ma amarli profondamente, essere capace proprio di…caderci dentro! Come la cara Alice di rodariana memoria.
Divertirsi con essi, lasciar trapelare il piacere e la gioia scaturiti dall’incontro con le pagine. Insegnare, solo tramite esempio, che la lettura è entusiasmo, coinvolgimento e divertimento.

Poi debba essere cosciente che il significato che egli avvede in un libro – anche se dotato di profondissima esperienza, grandissimo bagaglio culturale, affinatissima sensibilità – sarà sempre “un” punto di vista, “un” significato, che egli può esprimere per far sì che il libro emani la sua prima magia, eserciti la sua iniziale fascinazione.
Da lì inizia il viaggio e per ciascuno sarà diverso.

Non considerare mai il libro come cura in sé, come medicina per risolvere i tanti problemi della crescita.
Soprattutto perché spesso questo processo “medico-ricetta-paziente” si basa su premesse superficiali e poco attente (quante volte ho sentito consigliare “Il ciuccio di Nina” come un libro per far cessare la dipendenza dall’amato oggetto transazionale?).
Il libro non è la cura, può essere però un tramite di relazione, può diventare uno strumento che nelle mani dell’adulto di riferimento innesca uno sviluppo di “ascolto-confronto-comprensione” che può portare a risolvere (o per lo meno ad affrontare) il problema.
Basta quindi prontuari all’uso o risposte veloci ad appelli disperati con titoli secchi (e sempre gli stessi). Impariamo piuttosto noi genitori a leggere ai nostri figli tanti libri e, tramite ciò che essi risvegliano in loro, affrontare le difficoltà e (vedi sopra) aiutarli ad immedesimarsi e riflettere. Ma sempre guidata dai bambini!

Ancora, ritengo che debba essere umile.
Sapere che pur seminando tanto potrebbe non raccogliere. Imparare ad attendere, ad avere fiducia.
Mai costringere, mai ricattare. Contare fino a dieci (e poi fino a tremilacinquecento) prima di dire cose come “Devi leggere questo libro” oppure “Non devi leggere questo libro”.

Infine, applicarsi, studiare, continuare a leggere e confrontarsi con i prodotti vecchi e nuovi, mettere alla prova il proprio gusto, ampliare i propri orizzonti.
E non pensare mai – mai! – che un libro per bambini sia una roba facile, che parlarne sia elementare, che bastino poche categorie di pensiero (ed estetica) per inquadrarlo.

Questi sono i punti e le riflessioni da cui cerco di partire io, nel mio lavoro. Se un confronto con altri può essere aperto, ne sarò felice.


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