Se il PD non va da Silvio, Silvio va al Partito democratico, nella fattispecie per discutere la riforma della legge elettorale. E in questo secondo caso la sostanza delle cose cambia radicalmente: significa che l’asse della politica italiana si è spostato, che il PD non rincorre l’inerzia del dibattito – come sempre successo dalla sua fondazione – ma la indirizza. Eppure, la grande questione che imperversa tra le truppe Dem è una: incontrare Berlusconi non si può, non si deve, non è lecito. Si tratta di «un pregiudicato», come ha sostenuto Alfredo D’Attorre, colui che più ha dato voce agli strali dell’ala dalemian-bersaniana del partito.
In molti hanno già risposto a questa presa di posizione oltranzista, fatta di suggestioni su luoghi della memoria profanati dal Nemico e illazioni su presunte vicinanze politiche tra il segretario Renzi e Berlusconi: per Francesco Nicodemo, responsabile comunicazione della segreteria del Partito democratico, «gli ipocriti oggi faranno finta di avere scarsa memoria»: vent’anni di mancata legge sul conflitto d’interessi, opposizioni blande e patti della crostata cancellati da un battito di ciglia per tuonare che no – diamine! – Berlinguer non avrebbe mai fatto entrare «un pregiudicato» nella sede del partito.
Oltre lo storico e studiato psicodramma della sinistra italiana nei confronti di Silvio Berlusconi c’è qualcosa di non detto. Perché non si tratta soltanto di indicare in Berlusconi il Male assoluto, l’Italia “sbagliata”, l’antitesi dei propri valori, e poi interloquirci per vie traverse, piegarsi al suo volere, subire le sue vittorie e i suoi dibattiti, non avere un orizzonte che non lo contenga; la questione è, per l’appunto, che forse l’intera questione Berlusconi, fin dall’inizio, è stata uno specchietto per allodole.
Il punto è che Berlusconi è sempre servito: per parlare di provvidenziali riedizioni della questione morale, per dichiararsi diversi («l’Italia giusta»), per tentare di avere una parvenza di unità e coesione, per sapere chi additare quando le cose si mettevano male. Salvo poi dover subire sconfitte dovute alla propria inettitudine politica e presentarsi, mesti mesti, ad annunciare di dover battezzare un governo con lui, Berlusconi, il Nemico divenuto alleato. Da “con Berlusconi mai” a l’alleato Silvio, oggi – nell’ultimo testacoda – divenuto di nuovo uno spauracchio da agitare per salvare l’identità del partito. #salviamoilnazareno, come da hashtag lanciato su Twitter.
Non credo sia il caso di insistere oltre su ipocrisie evidenti, su feticci di Berlinguer riesumati per comodità, su fenomenologie di Caimani ed espressioni di sconcerto a orologeria. Dico però – e lo dico con profonda tristezza – che da una parte questa tattica ha pagato, forgiando generazioni di stolti che guardano il dito del «mai con Berlusconi» e non la luna del governo con Berlusconi, dei patti della crostata e dei vent’anni di mancata opposizione. Conosco ragazzi della mia età che credono che essere di sinistra sia innanzitutto non essere Berlusconi, e ciononostante riescono a parlare di lui, pubblicare status su Facebook riferiti a lui anche quando c’entra poco o nulla, rendendolo un perno della loro forma mentis, la base del loro pensiero politico.
@matteorenzi sta commettendo tre gravi errori: resuscita Berlusconi, spacca il Pd, spacca il governo #cambiaverso che sei #contromano
— Miguel Gotor (@GotorMiguel) 18 Gennaio 2014
Al bersaniano Gotor, così come agli altri ultimi giapponesi nascosti nella giungla, va fatto notare che il Caimano è stato sì «resuscitato», eccome, ma da loro. E hanno fatto un lavoro eccellente, nel corso degli anni – a livello tale che ancora oggi, con una sentenza passata in giudicato, Silvio Berlusconi rimane giocoforza un interlocutore per discutere della nuova legge elettorale. Sul terrazzo dove oggi Renzi riceverà Berlusconi, oltre alle altre forze politiche, poco tempo fa si ballava col sottofondo di un jingle che diceva «lo smacchiamo, lo smacchiamo!». Non so voi, ma a me il verso pare già cambiato.
(articolo scritto su Linkiesta)
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