Che cos’è una famiglia?
È solo quel gran guazzabuglio di persone costrette a trascorrere le festività insieme perché condividono un briciolo di DNA in comune, che ha dato frutto a figli e nipoti e cugini? È una coppia sposata di un uomo e una donna con prole, con alle spalle un esercito di parenti di lui e di parenti di lei, che ovviamente reciprocamente non si possono vedere, ma falsi e cortesi sono pronti ai più blandi sorrisi, per poi sparlare ad ogni occasione, cresima, comunione o funerale che li veda obtorto collo nello stesso luogo e nello stesso tempo? È quella perfetta casa pulita ordinata in cui il figlio non vede mai mamma e papà rivolgersi un sorriso, fare qualcosa veramente insieme, affrontare la vita insieme?
Famiglia è una parole che raccoglie in sé un significato astratto ed uno meramente concreto, che va ad indicare delle precise persone da inserire in un determinato ramo genealogico; insomma è come la parola cuore che può intendere sia un mero muscolo che non fa altro che pompare, sia il depositario astratto di tutti i nostri sentimenti e passioni, che ci rendono le persone che siamo.
Perciò quando parlando di famiglia pensiamo solo alla genealogia, tu sei figlio di, perciò nipote di e così via, facciamo ancora una volta la figura della servetta tracia di Talete che guarda il dito che indica la luna e non la luna. Se io stessi ai legami di sangue, alla parentela in senso stretto, non potrei dire di aver conosciuto un nonno, perché entrambi persi prima della mia nascita..eppure la vita mi ha dato la possibilità di amare un uomo come se fosse mio nonno: passavo del tempo con lui in montagna ed imparavo tanto, ascoltavo i suoi racconti di quando era giovane, lo immaginavo in moto per la Francia e mi insegnava a cucinare i dolci..ed ora non c’è più un tiramisù come il suo! Non ho fatto in tempo, perché la vita è bastarda e ti fa doni meravigliosi ma te li strappa facendoti un male cane, a dirgli che per me era il nonno, ma so che lo sapeva, lo sentiva: non c’è sempre bisogno di consanguineità, di un patto riconosciuto, di un titolo preciso, perché tra due persone ci sia un legame ad unirle. Il titolo di mamma non si guadagna partorendo un figlio: sei sua madre, certo, ma non sei la mamma. Ho visto bambini chiamare mamma la propria tata. Hai dato il cognome al bimbo, perché ha il tuo DNA, bene legalmente sei suo padre, ma essere un papà è tutta un’altra cosa.
Essere papà e mamma non è un fatto naturale: certo lo è l’atto di procreare e mettere al mondo delle creature, per natura infatti lo fanno anche gli animali, ma il resto, quello che conta, metterci il cuore (e non intendo l’organo) quella è tutta un’altra storia. C’è differenza tra avere figli e educare dei figli: il primo caso rivela solo un mero atto di patria potestas, il secondo implica un atto d’amore, perché educare significa letteralmente “condurli fuori” per scoprire il mondo dando loro le capacità per capirlo e affrontarlo, fuori inizialmente mano nella mano, perché non sanno neppure camminare, poi fianco fianco e poi rallentare il nostro passo e guardare che strada intraprendono e se guardano indietro, e lo faranno, essere pronti a consigliare ed anche ammonire. Insomma per educare bisogna esserci, non solo esserci quando conviene, quando è comodo, quando è opportuno sembrare una famiglia. Quello di padre e madre è uno stato, quello di papà e mamma invece è come una missione, che va scelta, accettata e una volta intrapresa non più abbandonata. È un atto d’amore, silenzioso e perenne, che non ha bisogno delle festività per mostrasi, ma si nutre e si alimenta nella semplice quotidianità.
E se la servetta che non va al di là del dito, non sa capire che avere una famiglia è una cosa, ma vivere in famiglia è un’altra, mi spiace per lei perché non potrà mai avere un nonno come il mio.