Abortire per entrare nella casa del Grande Fratello? Non si può. E’ assurdo. Una vergogna. Ha sollevato un autentico vespaio di polemiche il caso di Josei Cunningham, la giovane di 23 anni che pur di partecipare alla nuova edizione Grande Fratello britannico si è dichiarata pronta ad abortire giacché nelle condizioni in cui si trova, incinta di quattro mesi, le sarebbe impedito. Da parte sua, la donna appare più che mai determinata. «Sono sul punto di diventare famosa – ha spiegato alla stampa – e non ho nessuna intenzione di rovinare tutto. Un aborto favorirà la mia carriera: il prossimo anno non voglio avere un bambino. Voglio diventare famosa, mi immagino alla guida di una Range Rover rosa brillante, e voglio comperare un grosso appartamento».
Lo scandalo per queste dichiarazioni è stato forte e secondo alcuni sondaggi parecchi inglesi sarebbero pronti a boicottare la trasmissione se solo l’ambiziosa giovane fosse inserita nel cast. Ora, benché una reazione simile appaia più che comprensibile, a tutti coloro che – in Inghilterra come da noi e nel resto del mondo – ritengono folli le intenzioni di Josei Cunningham, andrebbe rivolta una semplice domanda: in che mondo pensate di vivere, signori? Dove siete stati negli ultimi decenni? Su Marte? Tale curiosità nasce dal fatto che se siamo a questo punto, non è un caso. Se una donna di 23 anni si dice pronta a sacrificare il figlio per uno sprazzo di notorietà c’è infatti una ragione ben precisa, che coincide col processo di normalizzazione culturale dell’aborto determinato dalla depenalizzazione della pratica.
D’altra parte, una volta che sia accetta il primato del principio di autodeterminazione individuale su quello dell’intangibilità della vita umana, come stupirsi? Come stupirsi che si arrivi a scegliere l’aborto per una ragione sciocca com’è la partecipazione Grande Fratello? E’ o non è anche quello, per quanto estremo e deprecabile, un esercizio di libertà? Se si ritiene lo sia, viene meno qualsivoglia possibilità di critica alle intenzioni manifestate dalla Josei Cunningham di turno piuttosto che alla condotta di Christine Marie Evert, la leggendaria tennista che, stando all’ex partner, avrebbe abortito pur di non dover interrompere la carriera. Se invece si ritiene che la vita umana – in questo caso del concepito – sia indisponibile, tutto cambia e sorge non solo la possibilità ma persino il dovere di gridare la propria indignazione.
Per ogni singolo aborto volontario, però; non solo per quello effettuato per motivazioni così folli da ridestare da un torpore decennale persino l’opinione pubblica. Perché se da un lato è vero che il rifiuto della maternità può originarsi dalle ragioni più diverse – il che deve suggerirci prudenza nella valutazione di ogni caso -, d’altro lato è altrettanto indubbio come l’esito di un aborto sia sempre il medesimo, vale a dire la soppressione di un essere umano innocente. Che magari avrebbe avuto una vita infelice e povera e disgraziata, ribatterà subito, piccato, l’abortista medio. Senza però poter smentire, neppure lui, il dato più sconvolgente, cioè quanto detto: l’aborto procurato – ogni aborto procurato – comporta l’eliminazione di una vita umana innocente ed indifesa. E’ anzitutto questo, benché ormai radicato in tantissimi ordinamenti giuridici, il dato che deve scandalizzarci.
Deve scandalizzarci come solenni celebrazioni diritti umani siano clamorosamente tradite dalle stesse Istituzioni che le promuovono, nel momento in cui permettono l’aborto. Deve scandalizzarci il fatto che, riconoscendo indirettamente il “diritto alla genitorialità” ed avendo ormai assolutizzato l’autodeterminazione individuale, i nostri ordinamenti abbiano perso di vista il diritto primo: quello alla vita. Deve scandalizzarci la ripetizione di bufale – dall’eliminazione degli aborti clandestini al fantomatico “ritorno al Medioevo” – con cui ci ipnotizzano, pur di distrarci dalla commovente realtà di un bimbo non ancora nato ma che già dorme, piange e ascolta; deve dunque scandalizzarci l’aborto. Se invece l’aborto scandalizza solo per il Grande Fratello, a scandalizzare, in fondo, è solo una trasmissione televisiva: è una realtà che può far male, ma è la realtà. Prima ce ne rendiamo conto, prima inizieremo a cambiarla.