Molto è stato scritto sul periodo successivo all’occupazione americana dell’Iraq, e anche prima del ritiro delle forze di occupazione … Purtroppo molti sono gli articoli che si sono impegnati a tracciare un quadro pessimista dell’avvenire di questo Paese.
Una delle tesi più veicolate è che gli iracheni sono incapaci di gestire una riacquistata indipendenza.
A titolo d’esempio, si è rimarcato il fatto che l’ostilità fra i diversi partiti politici rischia di esacerbarsi sull’attribuzione dei seggi parlamentari conseguiti in seguito alle ultime elezioni, senza che gli stessi si preoccupino dei servizi di base offerti ai cittadini.
Altra sfida considerata insormontabile è quella della corruzione, avvertita come molto diffusa nelle istituzioni pubbliche.
O ancora la sicurezza … Un tema caro agli Stati Uniti, che continuano ad agitarlo per spaventare gli iracheni. Insomma sono tanti gli ostacoli sulla strada di una transizione irachena verso una nazione indipendente.
D’altra parte le premesse di una volontà di indipendenza e di autonomia degli iracheni si sono rivelate ben prima del ritiro delle forze di occupazione: un ritiro che – lo rammentiamo – non è stato rinegoziato…
Braccio di ferro fra Bush e Maliki: vince la sovranità irachena
La minaccia, brandita dall’Amministrazione Bush, di ritirare ogni sostegno economico e militare al governo iracheno se quest’ultimo non avesse accettato l’accordo sullo statuto delle forze americane in Iraq, non ha piegato i responsabili politici iracheni, che si sono opposti a qualsiasi forma di legittimazione della presenza militare statunitense – e in particolare al riconoscimento di un diritto di extraterritorialità giuridica per le truppe americane presenti nel Paese!
Bisogna anche dire, fra parentesi, che per la maggior parte degli iracheni questa pretesa richiama troppo alla memoria le ingiuste condizioni del trattato che aveva attribuito diritti di carattere militare all’imperialismo britannico in Iraq fra il 1930 e il 1958.
In questo parallelo storico, la percezione simbolica della dominazione straniera espone i dirigenti dei partiti politici al rischio di essere considerati come complici di ogni accordo che possa accordare speciali privilegi agli Stati Uniti.
Ma c’è di più…
In un discorso pronunciato davanti ai capi militari iracheni e americani a Camp Victory – complesso militare ubicato a nord della capitale, uno dei simboli dell’invasione americana dell’Iraq – il Primo Ministro Nouri al-Maliki ha salutato come “vittoria storica” il rifiuto del suo governo di prolungare il mandato dell’esercito USA: una vittoria “che resterà memorabile dopo il ritiro delle truppe americane da tutto il territorio iracheno”, ha precisato.
Ma è soprattutto sulla questione siriana che l’Iraq ha dimostrato la sua volontà di imporsi sulla scena regionale, con grande sgomento dei Paesi del Golfo, presentandosi come nuovo attore sovrano e che soprattutto partecipa a un asse Iran – Siria – Libano – Palestina occupata in un progetto di resistenza all’americano-sionismo…
Tre eventi riassumono e contrassegnano il ritorno energico dell’Iraq sulla scena araba: il discorso di Maliki alla Casa Bianca, il vertice arabo di Baghdad e l’affare Hashemi.
La bomba di Maliki alla Casa Bianca
La stampa americana e quella europea hanno molto puntato su questa visita per un rafforzamento delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Iraq, e particolarmente per un riposizionamento di quest’ultimo a favore degli Stati Uniti nella questione siriana.
Ma la scelta inequivocabile di Maliki di rifiutare qualunque ingerenza irachena in Siria, anche a livello di semplici sanzioni, ha avuto l’effetto di una bomba sui propagandisti occidentali della guerra alla Siria.
E a ben ragione: in primo luogo il pronunciamento di Maliki rispecchia il fallimento della diplomazia americana nel convincere Baghdad a riallinearsi al suo fianco – e ciò nonostante le promesse di Washington di cooperazione economica – in secondo luogo c’è da sottolineare il luogo geografico – la Casa Bianca ! – in cui il Primo Ministro ha portato alla ribalta i prioritari interessi strategici iracheni.
Nella conferenza stampa congiunta di Maliki e Obama è risultato peraltro evidente anche al Presidente americano il contrasto fra i due Paesi sulle modalità di gestione della crisi siriana.
“Non siamo contro le aspirazioni del popolo siriano, nè di alcun popolo arabo, ma non abbiamo il diritto di chiedere al Presidente della Siria di dimettersi, non vogliamo avere questo ruolo (…) Io mi preoccupo degli interessi dell’Iraq, della sicurezza della regione, e so che i vari Paesi sono interdipendenti, i loro interessi vanno tenuti in considerazione”, aveva scandito Maliki; un’allusione al fatto che gli interessi strategici iracheni vengono per lui ben prima di quelli americani.
Dopo gli americani è stata la volta dei Paesi arabi a essere criticati dal Primo Ministro iracheno per il loro sostegno agli oppositori siriani, soprattutto il Qatar e l’Arabia Saudita.
“Non si può rovesciare con la forza il governo di Bashar al-Assad, e gli aiuti militari che forniscono Arabia e Qatar rappresentano una flagrante interferenza negli affari interni della Siria e di tutti gli altri Paesi arabi”, aveva dichiarato Nouri al-Maliki.
Il vertice arabo di Baghdad, consacrazione del ruolo regionale dell’Iraq
Se la partecipazione al 23° vertice arabo è stata di secondo o anche di terzo rango, è però vero che la scelta del luogo in cui si è tenuto – Baghdad, dopo il ritiro americano – è un successo incontrovertibile per il governo iracheno, per il popolo iracheno, insomma per l’Iraq.
Secondo Nabil Yassin, saggista e analista iracheno che vive a Londra, il vertice conferma che l’Iraq è parte essenziale della storia araba e che ha saputo ristabilire normali relazioni con gli Stati arabi.
A dire il vero, il vertice ha rappresentato un’occasione per l’Iraq di recuperare il suo ruolo regionale, andato perduto nel corso degli ultimi decenni, ruolo che prevede una condivisione a livello di vertice nel prendere le decisioni importanti.
In questo contesto, l’esplosione della violenza in Iraq in prossimità del vertice – un centinaio di attentati in tutto il Paese, fra cui anche uno di fronte alla sede del ministero degli Esteri – dimostra l’irritazione americano-sionista nei confronti del vertice…
Il governo iracheno ha ben compreso il messaggio, da qui la sua tenacia per la riuscita dell’incontro ben espressa in un comunicato emanato dal ministero degli Esteri dopo l’attentato subito : “Queste azioni non riusciranno a impedire che l’Iraq, il governo nazionale e la Direzione del ministero degli Esteri si impegnino ad assicurare il successo del vertice di Baghdad dei Paesi arabi, e ad accogliere le delegazioni invitate”.
Non soltanto il vertice si è tenuto, ma si è anche trovato l’accordo fra i ministri degli Esteri per una bozza di risoluzione che non preveda la partenza del Presidente siriano Bashar al-Assad e forniture militari per gli insorti.
Su quest’ultimo punto Maliki aveva espresso le sue perplessità nei confronti degli appelli di alcuni regimi arabi, con particolare riferimento alle richieste di Doha e di Riad di armare gli insorti del Consiglio nazionale siriano.
“Questi appelli precipitano la regione in una guerra settaria a lungo termine, perciò li denunciamo e li condanniamo”, queste le sue parole.
Reazione accesissima da parte del Qatar e dell’Arabia Saudita … Sulla stampa dei due Paesi sono apparse campagne per il boicottaggio del governo di Baghdad, accusato di sostenere il regime siriano. Il quotidiano saudita al-Watan osserva che Maliki “non ha nemmeno aspettato che l’inchiostro usato per le risoluzioni del vertice di Baghdad si fosse asciugato per ergersi a difensore del regime baathista siriano”.
A questo punto le due monarchie hanno deciso di utilizzare l’affare Hashemi, vicepresidente accusato di terrorismo e ricercato dalla giustizia irachena. Dopo essersi rifugiato in un primo tempo nel Kurdistan iracheno, e dopo un passaggio a Daha, Hashemi si trova attualmente a Riad. La disputa con il governo iracheno è vista da entrambe le monarchie come di tipo confessionale.
In Qatar, il quotidiano al-Sharq – vicino alle posizioni governative – ha rilevato che Maliki “da dirigente del partito sciita al-Daawa conduce una campagna contro la presenza sunnita all’interno dello Stato iracheno”. “La campagna contro Hashemi e i sunniti iracheni è provocata da preferenze confessionali (di Maliki) che il popolo dell’Iraq rifiuta”, ha rincarato il giornale.
L’affare Hashemi: sovranità e non ingerenza internazionale
Per l’Iraq l’affare Hashemi è innanzitutto una questione giudiziaria e dunque interna al Paese. Di conseguenza, chiunque si immischia della faccenda attenta alla sovranità istituzionale della nazione.
Il partito di Maliki, la Coalizione dello Stato di diritto, ha in effetti messo in guardia i Paesi che hanno dato accoglienza al vicepresidente Tareq al-Hashemi, avvertendoli che l’Iraq non resterà con le braccia incrociate di fronte al loro atteggiamento nei confronti di “un terrorista accusato di avere diretto gli Squadroni della morte”.
E per ribadire la sua intenzione di non abbandonare l’argomento, l’Iraq prevede di presentare, per tramite del suo Consiglio giudiziario supremo, un dossier contro Hashemi da sottoporre all’Interpol in vista dell’emissione di un mandato d’arresto internazionale.
Un provvedimento che rappresenta un messaggio per chi vuole capire: l’Iraq del dopo Saddam, del dopo occupazione americana non c’è più. Al suo posto c’è l’Iraq sovrano, autonomo e arabo, capace di imporsi sulla scena araba.