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In Sardegna non abbiamo ancora votato e, a differenza di quanto è accaduto in Italia, non sappiamo che cosa i partiti si sono fatti. Una piccola vendetta antiautonomista del governo Monti ha spostato al 10 e 11 giugno le elezioni nei 68 comuni, solo in 3 dei quali si avrà il doppio turno. Ma i giochi sono già fatti; le liste sono già presentate e tutto è avvenuto, ovviamente, senza tener conto degli umori elettorali e degli avvertimenti lanciati in Italia ai partiti tradizionali. Se questi avranno ripercussioni qui da noi, lo vedremo tra una ventina di giorni. Interessante è cominciare a ragionare su quel che si muove dentro la politica sarda, consapevole – per la parte che lo è, naturalmente – del marasma che la agita. Si intravedono almeno tre direttrici, due delle quali nel senso di una più o meno forte affermazione di identità sovranista e una ancora indecisa fra una voglia di autonomia e la paura di esercitarla. Gli schemi bacucchi sinistra-centro-destra naturalmente continuano ad affiorare qua e là, forse per pura forza di inerzia, ma riaffiorano concetti come “moderati” e “progressisti” che costituiscono comunque una approssimazione migliore e più adatta ai tempi. Mi ritrovo nella analisi (della parte sarda della questione) che Vito Biolchini ha fatto nel suo blog di quanto succederà dopo le elezioni (La vittoria farà bene a Grillo e il Pd si impone dappertutto. Ma non si illuda: a destra si è aperta una voragine pericolosissima. E in Sardegna? Quattro riflessioni post voto). In quasi tutto, salvo nella affermazione secondo cui il centrodestra “cavalca strumentalmente” la questione del conflitto con lo Stato. Sarà perché mi sono emendato da molto dall'infantilismo del considerare sempre e comunque in malafede l'avversario-nemico, ma trovo affermazioni del genere orticanti, oltre che inutili a comprendere i fenomeni politici . I sardisti stanno con successo cercando di mettere a profitto l'ordine del giorno sovranista con cui il Consiglio regionale si è impegnato a riconsiderare l'appartenenza della Sardegna alla Repubblica italiana. L'idea loro, e in primis di Paolo Maninchedda, è di coinvolgere in un progetto per la sovranità della Sardegna tutti coloro che ci stanno, rovesciando il malvezzo tutto politichese che prima costruisce uno schieramento e poi cerca di riempirlo di contenuti. È successo nel passato non solo alla sinistra (L'Ulivo, per esempio) e alla destra (il Pdl) con i risultati noti, ma anche allo stesso Partito sardo che negli anni Ottanta fece lo stesso, entrando nello schieramento di sinistra invece di costruire uno schieramento intorno ad un programma. L'indicazione programmatica contenuta nell'ordine del giorno sovranista è stata fatta propria, oltre che dal Psd'az che ne è l'autore, da gran parte del Pdl, dall'Udc e dalla sinistra di Sel. Il Pdl, che in Sardegna è reduce da pesanti sconfitte alle comunali e provinciali passate, si affida a Beppe Pisanu e al suo progetto di costruire in Sardegna una entità politica che ponga al centro della sua azione gli interessi dell'Isola. Dovrebbe essere ovvio, ma è invece una novità e non solo a destra Se quello di Maninchedda è un disegno sufficientemente chiaro, quello di Pisanu è ancora indistinto. Ma ho personalmente pochi dubbi che la politica sarda si avvii ad essere quella normalmente praticata nelle altre nazioni senza stato dell'Europa. Allora sì che prenderebbe senso la distinzione fra una sovranità di segno moderato e una sovranità di segno progressista, moderatismo e progressismo che hanno oggi quasi esclusivamente il senso di un confuso scimmiottamento di quanto accade altrove. In questo quadro è difficile capire quale ruolo voglia ricavarsi il Pd, combattuto fra forze interne che vorrebbero un partito autonomo e federato e altre che non resistono alla tentazione della dipendenza. Nel Parlamento sardo, ha votato contro il documento sovranista, dando delle spiegazioni del tipo: “Non lo votiamo perché lo vota il centrodestra” e bacchettando SeL perché “così fa il gioco della destra”. Il transito dall'autonomia concreta, quella ormai decrepita che conosciamo, all'esercizio del diritto all'autodeterminazione è percepito dai più come urgente e inevitabile. Lo sbocco più immediato è quello della sovranità in domini vitali per la Sardegna, una soluzione che potrebbe mettere d'accordo una grande maggioranza di sardi, senza per altro pregiudicare un futuro di indipendenza. Il processo è comunque in atto, anche, ma non solo, come risposta a una crisi economica che disvela ogni giorno di più la natura coloniale del rapporto Italia-Sardegna. Dei partiti sulla scena sarda, solo il Pd, oltre ad alcune frange di destra, sembra non averne consapevolezza. Potrebbe, naturalmente, essere una scelta consapevole di conservazione, magari con qualche modifica, dello statu quo in materia istituzionale. Sarebbe un contributo alla chiarezza e alla semplificazione.
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