Se la verità è solo questione di coerenza

Creato il 22 marzo 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Michele Marsonet. Perché il pragmatismo ha bisogno di una teoria coerentista della verità? La risposta è, in primo luogo, sistemica e olistica: di tale teoria vi è necessità poiché quelle basate sulla corrispondenza mal si accordano (anche se non sono incompatibili) con una visione pragmatista della realtà. Occorre innanzitutto distinguere tra teorie della verità basate su “criteri” e su “definizioni”. Queste ultime cercano di fornire una definizione dell’espressione “è vero” intesa quale caratteristica delle proposizioni. Quelle basate su criteri, invece, puntano a specificare le condizioni sperimentali che ci autorizzano a determinare se vi sono garanzie per applicare “è vero” alle proposizioni. Un pragmatista sarà naturalmente portato a preferire le teorie basate su criteri per ragioni squisitamente pratiche. Ciò che gli interessa non è specificare in astratto il significato della verità, quanto piuttosto mettere gli esseri umani in grado di “applicare” il concetto, fornendo loro istruzioni sulle circostanze in cui vi sono buone ragioni per caratterizzare una proposizione come “vera”.

E’ allora importante rammentare che la cosiddetta “teoria coerentista della verità” ha conosciuto molte versioni e svariati significati: non si tratta, in altri termini, di una concezione monolitica. Può assumere, per esempio, la forma metafisica di una dottrina secondo cui la realtà in quanto tale è un sistema coerente, oppure quella di una teoria logica affermante che la verità deve essere definita come coerenza fra proposizioni. Ma vi è pure un terzo senso, logico ed epistemologico a un tempo, per cui il criterio ultimo della verità consiste nel valutare la coerenza reciproca di determinate proposizioni.

Ora, è essenziale comprendere che l’intento delle teorie coerentiste non è quello di fornire una definizione della verità, né esse propongono di identificare il significato della verità con la coerenza. L’idealista Bradley, per esempio, affermava che, per essere vera, la verità dev’essere vera “di qualcosa”, e questo qualcosa non è ovviamente la verità stessa. Dunque le teorie coerentiste si propongono piuttosto di fornire un criterio (o un test) della verità. Se le cose stanno in questi termini, può anche darsi che teorie corrispondentiste e coerentiste non siano poi così nemiche come gran parte della filosofia tradizionale le dipinge.

Supponiamo che la corrispondenza costituisca la “natura” della verità, mentre la coerenza ne è il criterio. Diventa allora evidente che le due dottrine svolgono differenti funzioni. La “corrispondenza con i fatti” ci dice molte cose circa ciò che la verità è, ma non può condurci a ciò che è vero. D’altro canto, la “coerenza con altre (opportunamente determinate) proposizioni” non è in grado di fornirci una “definizione” della verità, ma è utile come strumento quando dobbiamo decidere se certe proposizioni possono essere qualificate come vere. La coerenza deve pertanto avere un ruolo, per quanto parziale, in qualsiasi approccio ai criteri di accettabilità razionale.
Si afferma a tale proposito che i sostenitori del coerentismo forniscono una teoria della giustificazione, e non della verità. La considerazione può anche essere corretta, ma occorre cercarne il motivo. Di solito i pragmatisti adottano una forma di realismo debole sul piano ontologico, secondo la quale esiste veramente una realtà indipendente dalla mente e formata da cose che non sono create dal nostro apparato concettuale. Di tale realtà, tuttavia, possiamo dire ben poco, perché a essa possiamo avere accesso soltanto attraverso qualche tipo di schema concettuale.

Se le cose stanno così, che cosa possiamo dire della “verità”? Anche in questo caso non occorre scivolare su posizioni estreme alla maniera di Rorty, e si può invece conservare una funzione importante al concetto di verità. Di quale funzione si tratta, tuttavia? Innanzitutto un pragmatista è incline a sostenere che risulta scarsamente plausibile la prospettiva di raggiungere una sorta di verità definitiva (nel senso di “finale”) in ambito scientifico, né migliore sorte sembra toccare alla nozione di “progressivo avvicinamento” alla verità. Il motivo per cui la verità continua a essere importante è che essa svolge comunque un ruolo chiave nelle nostre decisioni, dal che consegue che tale ruolo è giustificato su basi pratiche: in altri termini, la nozione di “verità” riveste una funzione preziosa nella nostra schematizzazione concettuale della realtà. La tesi per cui la scienza non è in grado – al pari di qualsiasi impresa umana – di giungere alla verità attuale delle cose è certamente corretta. Ma è pur vero che la scienza tenta costantemente di raggiungere quel risultato. Come potrebbe essere altrimenti, dal momento che si propone di rispondere alle nostre domande circa il mondo? Queste risposte, tuttavia, hanno sempre un carattere ipotetico e provvisorio, e le teorie scientifiche altro non sono che “stime” mai definitive della risposte che la natura fornisce ai nostri interrogativi.

Pertanto la verità, come del resto l’oggettività e la razionalità, è legata alla nostra capacità di idealizzazione e svolge un ruolo essenziale nell’impresa scientifica. Il perseguimento della verità è l’obiettivo primario della scienza, anche se è opportuno riconoscere che esso fa parte di un gioco altamente idealizzato. Senza dubbio la nozione di verità intesa in senso ontologico è necessaria ma, dal momento che tra realtà-in-quanto-tale e realtà-come-noi-la-vediamo esiste uno iato, a tale nozione può al massimo venir attribuita una funzione regolativa, il che significa che non può essere completamente esplicitata.

Featured image, Tempo salva Verità da Invidia e Falsità, di François Lemoyne (1737).


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