di Giuseppe Leuzzi. Non c’è evento che non apra le cateratte della deprecazione. La Germania vince il Mondiale, e povera Italia: lazzarona, scansafatiche, machiavellica, etc.. Renzi va a Bruxelles, e povera Italia: lazzarona etc. Juncker diventa presidente della Commissione Ue, povera Italia. Il corrispondente del “Daily Telegraph” dileggia la ministra Mogherini, e povera Italia. Il corrispondente del “Financial Times” dileggia Roma, povera Roma. Ora, chi conosce il corrispondente del “Financial Times” alzi la mano. Peggio quello del “Telegraph”. Perxhé sarebbe istruttivo conoscerli.
Ma il problema non sono i corrispondenti. Ovvero sì: i corrispondenti romani dei giornali britannici e tedeschi sempre hanno dileggiato l’Italia – tutti ambivano a Parigi, o meglio a New York. Mentre quelli italiani a Bruxelles e Berlino non sanno che agganciarsi alle agenzie, che sono anglosassoni. Il problema dunque è dei corrispondenti. Di un provincialismo analogo, italofobo, tra italiani e stranieri ugualmente cioè provinciali, con lo stesso punching ball. Il fatto di sapere un lingua straniera – e neppure quella per i britannici – non esime, si è provinciali per costituzione: si leggono i corrispondenti a Berlino o Bruxelles dei migliori giornali italiani e si resta senza parole di fronte all’ottusità, quando non è irrilevanza.
Ma non è questo che fa l’informazione, che l’“Economist” o lo “Spiegel” scrivano che l’Italia è mafiosa. Ovvero sì: la pistola sugli spaghetti fa l’opinione perché è corriva a un disegno affaristico. Il disegno affaristico è di arraffare l’arraffabile: da smembrare, rivendere, comunque commerciare, rivalutare, svalutare. Da almeno trent’anni, dalla crociera di Draghi sul “Britannia” ma anche prima, l’Italia è preda delle banche d’affari, per definizione anglosassoni. Che è una maniera solo politicamente corretta di dirne la natura: che è l’affarismo, la speculazione.
È nell’ottica di queste “banche d’affari” che l’Italia è sempre indietro in qualcosa. Che – imbroglio alla duplice o triplice potenza – viene detto “riforma”: l’Italia sempre non ha “fatto le riforme”. Queste riforme piuttosto sarebbero controriforme, poiché hanno solo lo scopo di arricchire gli affaristi. Ma, anche a mettersi nell’ottica dell’affarista, queste “riforme” l’Italia le ha già fatto, prima e più radicalmente di altri. Ha bloccato la spesa pubblica. È dal 1992, quindi da 21 o 22 anni, un record probabilmente mondiale, che l’Italia ha un avanzo primario: spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito. Ha bloccato le pensioni. Ha liberalizzato il mercato del lavoro, già vent’anni fa. E allora, perché si dice il contrario?
Il perché e il come sono semplici. Ogni grande giornale e ogni bravo giornalista si “informano” attraverso i titolari e i consulenti delle banche d’affari. La cui miniera è il settore pubblico italiano. I vari soggetti pubblici, cioè, nei mercati finanziari ai quali affibbiare titoli dubbi a carissimo prezzo – i famosi derivati, grande eufemismo per un miserabile gioco delle tre carte. Le aziende pubbliche da collocare, in tutto o in parte, sui mercati, a carissimo prezzo. O da dividere, spolpare, svalutare, rivalutare, al solo interesse dell’affarista. Nonché, accreditandosi come vati e profeti, gli studi, le analisi, i report, una tantum e periodici, sempre a prezzo esorbitante.
Non si può dire che i giornali e i giornalisti bene informati ne siano succubi per un interesse (Mucchetti e Giannino che criticavano aspramente la Fiat perché non dava l’Alfa Romeo alla Volkswagen), ma per l’informazione sì. E i banchieri d’affari ne sono prodighi: il pettegolezzo finanziario è perfino più maleodorante, se non piccante, di quello delle celebrities.
Più dell’Italia è malata l’informazione. Quella che si diletta dell’Italia malata. La quale ha molti problemi, ma non quelli che i giornali dicono. Dire “i giornali” non è un errore, ed è il punto della questione: che tutta l’informazione economica, quella che si vuole bene informata e fa l’opinione, è gestita dagli affaristi. Che è convenzione chiamare banche di affari.
Featured image, Ernest Hemingway fu corrispondente di guerra