Gianfelice e suo padre Giacinto guardano insieme la tv, quando improvvisamente iniziano a passare sullo schermo le immagini di Italia-Germania, «la partita del secolo», la semifinale di Messico ’70, un incontro di calcio che nel tempo è diventato racconto infinito, film, romanzo, canzone: una delle metafore più forti ed espressive dello sport italiano.
Giacinto e Gianfelice se la guardano in santa pace assaporando in silenzio una sensazione rara, magnifica, prodigiosa. un momento in cui scoprono che la vita è senza tempo.
A Giacinto non piace più di tanto aprire le pagine dei ricordi perché è riservato, ne ha pudore. Ama farlo invece quando si trova insieme a vecchi amici o a compagni di squadra. Per lui è esagerato parlare di tanta gloria vissuta sui campi di gioco con chi non vi ha partecipato direttamente.
Ora Giacinto e Gianfelice si riconoscono nel presente, come se il passato non ci fosse mai stato.
Sono lì che guardano e vedono Schnellinger di colpo nel vivo dell’attacco con la palla al piede pronta per il tiro decisivo. Ogni tattica è spiazzata, come succede spesso anche nella vita. L’Italia però vince quattro a tre e va in finale col Brasile di Pelé.
Subito dopo Italia-Germania in tv mostrano anche la finale e, appena iniziata, l’Italia è già sotto di un gol. Boninsegna pareggia i conti per l’Italia, ma al due a uno di Gerson Giacinto si alza e dice di di spegnere. «Eravamo troppo stanchi per giocare alla pari, la partita coi tedeschi ci aveva spremuto! A quell’altitudine recuperare la fatica non è uno scherzo…» E’ come se tutti i novanta minuti accadessero in quel momento e la sua reazione è cosi istintiva da confondere Gianfelice.
Ci sono sfide che non finiscono mai, come questa contro il Brasile. Il tempo si sbriciola davanti a un movimento impercettibile dell’anima di Giacinto, un uomo che in una sera d’estate col male che gli lavora dentro non ha voglia di sentir parlare di sconfitte…
Non è per niente facile narrare di una vita, coglierne l’essenza profonda, comunicarne con forza i principi, gli ideali. Ancora più difficile è ripercorre le orme di un padre, in questo caso celebre e leggendario.
In Se no che gente saremmo Gianfelice Facchetti scrive in modo pulito, incisivo e sorprendente raccontando fatti, aneddoti e sentimenti, tratteggiando un ritratto esclusivo e toccante del padre Giacinto, una figura che del calcio ha rappresentato l’aspetto migliore.
Per chi non conoscesse Giacinto Facchetti sarà sufficiente leggere qualche pagina di questo libro per capire quanto sia stato grande sia in campo che fuori. “Molto più grande sul piano umano rispetto a quello sportivo” come diceva Gianni Rivera. Forse perché “fuori dal campo valeva molto, molto di più”.
Twitter:@marcoliber
Gianfelice Facchetti
Se no che gente saremmo
Giocare, resistere e altre cose imparate da mio padre Giacinto
Longanesi (collana Il Cammeo)
2011