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Se non comunichi, non esisti.

Creato il 09 febbraio 2013 da Dida

Se non comunichi, non esisti.Ricordo ancora quando uscì il primo numero di Vanity Fair Italia. Uno dei motivi che mi spinsero all’acquisto, infatti, era una bellissima intervista fatta ad Isabel Allende, le cui pagine ancora conservo gelosamente. Se non comunichi, non esisti.Quel numero catturò la mia attenzione e da allora, fino a qualche anno fa, cercavo sempre di non mancare l’appuntamento con il settimanale. Mi piaceva sfogliare le pagine dedicate alla cultura e ai consigli libreschi e, nelle vecchie agende e nei diari di scuola, mi capita ancora di ritrovare i ritagli degli articoli dedicati alle nuove uscite. Con il passare degli anni però, in questa rivista, come in altri settimanali che amavo sfogliare, agli articoli e alle pagine di cultura sono stati progressivamente ridotti spazio e battute. settimanali, infatti, hanno aumentato il numero di pagine, di inserzioni pubblicitarie e rubriche penalizzando, però, quelle dedicate ai libri e ai consigli letterari.Sfogliando oggi questi settimanali, quindi, si possono reperire solo piccoli trafiletti nei quali si scopiazza trama e titolo di qualche nuova uscita, il più delle volte dal prezzo inaccessibile, e sulle quali non viene dato nessun giudizio di valore. 

La mia speranza, quindi, era che quelle pagine che mi avevano ispirata, negli acquisti e non, fossero migrate nel web luogo dove, a mio modestissimo parere, il popolo dei lettori ha trovato uno spazio nel quale esprimersi, un luogo dove mostrarsi. Sfogliando i vari siti dei maggiori settimanali italiani, però, la sezione “cultura” o è nascosta in qualche anfratto della sezione “spettacolo” o semplicemente risulta “non pervenuta”. 

Ora, non voglio fare di tutta un erba un fascio, ma se anche nell’inserto del Corriere della Sera, “La lettura”, si parla di tutto tranne che di libri e cultura, dire che in Italia l’industria culturale è sull’orlo del fallimento è un eufemismo!L’unico inserito degno di nota è “Domenica” del Sole24ore che, però, sembra essere afflitto dalla stessa malattia delle case editrici e dei principali promotori della cultura in Italia: non comunica.Profili social abbandonati, scarsissimi contatti con i lettori, censura e poca trasparenza: tutto ciò porta alla creazione, nell’immaginario collettivo, di un settore chiuso in una torre d’avorio e totalmente ripiegato su sé stesso. Giornali, critici ed editori comunicano solo per screditare: il mondo dei blogger, la scarsità dei lettori italiani e l’indifferenza dei giovani. Si comunica solo per alimentare polemiche, per promuovere fallimenti e lagnarsi. Se quindi chi dovrebbe invogliare a “consumare cultura” o non comunica o lo fa nel modo sbagliato perché utilizza i media, vecchi e nuovi, come mera vetrina pubblicitaria, se i gruppi editoriali non riescono ad avere una percezione reale del cambiamento che sta investendo lettori e addetti del settore e se si sceglie di promuovere solo pubblicazioni mediocri e discutibili, di cosa ci lamentiamo? Com’è possibile rimpolpare la schiera dei lettori se non si mostra il bello della lettura, com'è possibile promuovere il meraviglioso patrimonio culturale italiano se non si comunica la bellezza e il fascino della storia? Come si pensa di risollevare le sorti dell’editoria italiana se l’immagine che traspare dei maggiori gruppi editoriali è quella di aziende che, pur di guadagnare, pubblicano “chiunque”, basta che paghi?Questa è la riflessione di una semplice lettrice che da qualche mese ha avuto la possibilità di guardare da vicino, grazie ad un corso di laurea magistrale, le dinamiche d’impresa e che, osservando sotto una luce nuova quel mondo che ha sempre esercitato fascino su di lei, non riesce più a ritrovare lo “scintillio” di una volta.Buon wee-end!Alla prossima Diana

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