E ci risiamo.
Arriva la Festa delle Donne.
Abbiamo feste per tutto, per i single, per il gatto – nero e a colori vari – per i nonni e per l’Unità d’Italia.
Riusciamo a piegare una data qualsiasi per celebrare qualcosa che poi, realmente, non ha motivo d’essere festeggiata.
Ci risiamo. Ma quest’anno, invece di festeggiare la ritrovata libertà sessuale delle donne, andando a infilare soldi nel perizoma sempre troppo stretto di quell’oggetto chiamato uomo, scambiarci mimose, radunare piccoli eserciti di donne intorno a tavoli di ristoranti da menù speciali, quest’anno scenderemo in piazza a dire che il nostro corpo, no, non è merce.
Scusatemi, io, femmina, mi sono rotta le palle.
Quest’anno si scenderà in piazza indignate perché, come succede da sempre, il potere è legato a doppio filo con una cosa chiamata “sesso”.
Il Premier, quello che ci siamo scelti, ama quella cosa lì. Ma tanto. Piace a lui, piaceva agli altri prima di lui. Ai mariti, ai fidanzati. E’ inutile, oltre ad essere biologico, viviamo bombardati da immagini che ce lo evocano.
E sinceramente, quello che mi arriva da questa storia è solo un sorriso amaro.
Ci meritiamo tutto questo. Ce lo siamo scelto. E non è colpa della televisione, non è colpa dei suoi canali. Perché abbiamo potere di scelta. Non avere la TV in casa, per esempio. Non guardare le sue TV per esempio.
Potremmo uscire e andare a vedere altro. Il cinema per esempio. Uno spettacolo o una mostra. Ma non lo facciamo.
Adesso siamo qui, a pochi giorni dall’8 marzo e siamo tutte pronte a scendere in piazza perché noi, non siamo come Ruby.
Non me ne frega niente di Ruby. Nemmeno delle “Arcore’s Night”.
Non me ne frega poi tanto se negli atti il certificato di nascita di Ruby c’è o non c’è, se qualcuno ha già fatto sparire certi documenti per piazzarne altri e pagato il silenzio dei genitori poveri diavoli.
Quello per cui le donne si indignano non è lo stupro della ragazza spagnola che giustamente dice “me ne voglio andare dall’Italia”. Le donne non si indignano per la legge sulla fecondazione assistita, che fa contenti il Papa e i Cardinali, ma non i malati. Le donne non sono scese in piazza contro il Papa che ha detto che spesso ci costringono con informazioni sbagliate sull’aborto. Noi non ci scandalizziamo quando, per fare un figlio, perdiamo il lavoro che abbiamo conquistato con fatica. Scendere in piazza contro Ruby, o Nicole, o Imma e Noemi, non serve. Perché non c’è nulla di che indignarsi. Hanno scelto quella via più facile per “sistemarsi” perché non hanno poi altro da poter fare. Hanno voglia di salvarsi, come tanti, maschi e femmine, che cercano un appiglio sicuro a cui legarsi e galleggiare. Galleggiano.
Io mi incazzo quando una donna chiusa in una cella viene stuprata da quattro appartenenti alle forze dell’ordine che dicono “ma era consenziente!” solo perché non hanno lasciato lividi addosso. Mi incazzo quando sul bus il vecchietto con finta ingenuità mi mette la mano sul culo e tutti vedono e nessuno fa nulla. Mi incazzo quando il corpo delle donne viene considerato alla stregua di una Real Doll calda, parlante e altamente snodata. Quando il mio cervello non è nella scatola cranica ma nelle tette, ben ripartito fra le due. Quando per certi uomini io sono una taglia 48, non una specialista in un settore. Quando le istituzioni che mi dovrebbero tutelare, pensano ad attaccarsi non per temi sociali e utili, ma per donne, come se fossimo ancora a Troia.
Il problema è che di “troiane” ce ne sono tantissime e che non si può fare nemmeno più affidamento sul fatto che, a lungo termine, la bravura verrà premiata. Quelle persone se la caveranno sempre perché prima di loro ci sono persone che se la sono sempre cavata e che l’hanno “sfangata” senza essersi sforzati più di tanto e questa tolleranza della stupidità ha generato un mostro talmente grosso che adesso è fuori controllo.
Questa pochezza nel sentire, nel fare, ha creato due italiani: non sono “quelli del nord” e “quelli del sud”. Sono quelli che hanno “sfangato” il problema della casa, della macchina, dell’iPhone, e quelli che sono incazzati neri. Perché una casa non ce l’hanno e non arrivano a fine mese, che sono a casa, senza lavoro. Che lavorano in nero. Che sono bravi e che non riescono a trovare una giusta collocazione. Che sognano una politica sociale. Quelli che occupano le case o vanno alla mensa dei poveri. Quelli che la crisi c’è sempre stata e sempre ci sarà.
Dovremmo scendere in piazza per gridare la nostra rabbia verso una classe dirigente che “tira a campare”, smantellare questo sistema, gridare e invocare dignità e forza, carisma e volontà.
Ma siamo pochi.
Una parte delle mie simili scenderà in piazza per dirsi “offesa” da Ruby.
Una parte per dire “dimettiti”.
Ma tanti, tantissimi, sono lì a sperare di farne parte, sperano di esserci in questo grande monopoli dell’Italia. Sistemarsi con poca fatica, per tanto tempo, e che importa di quello che ho dovuto ingoiare.
Basta sfangarla.