Lettori di Temperamente, oggi vorrei farvi un po’ di domande. Quante persone conoscete che siano in grado di cantare un’aria di Verdi? E quante che siano capaci di scolpire il marmo? O di scalare una montagna? O di segnare un gol in rovesciata? Io personalmente non ne conosco nessuna, e voi? Anche voi ben poche, non è così? E quante persone conoscete invece che abbiano pubblicato un romanzo? Io ne conosco un centinaio, e voi?
Pubblicare un romanzo, in teoria, non dovrebbe essere facile come fischiettare, ma dovrebbe essere difficile come diventare un cantante lirico o un calciatore del campionato di Serie A. Perché allora questa discrepanza fra il numero di scrittori e quello di tenori, scultori e calciatori professionisti?
La risposta è semplice: perché oggi per pubblicare un romanzo basta mettere mano al portafogli. E poco importa se i romanzieri a pagamento non sappiano scrivere, o sappiano farlo ma il loro manoscritto, anziché esser maneggiato con cura, venga stampato praticamente così com’era in bozza. E poco importa che questi autori a pagamento siano destinati a non esser presi sul serio, a ricevere recensioni negative e a dubitare essi stessi in primis del valore delle proprie opere; tanto quel che conta è poter dire ad amici e parenti di essere degli scrittori, no?
Oh, sia ben chiaro: non dobbiamo pensare che tutti gli autori a pagamento siano degli incapaci, o che tutti gli editori non a pagamento lavorino bene (perché, anzi, vi sono editori che, proprio in quanto non a pagamento, abbattono le spese non intervenendo sui testi, non assumendo grafici, ecc, ecc); e non dobbiamo nemmeno pensare che tutti i contributi economici chiesti dagli editori siano finalizzati sempre e comunque ad arricchirsi o siano mirati a raggirare degli sprovveduti esordienti, perché ci sono delle eccezioni. Ma certo è che, come ha dichiarato il sociologo Leo Palmisano, «in Italia si pubblica tanta merda». E se si pubblica tanta merda è fondamentalmente perché, come detto, per fare lo scrittore basta mettere mano al portafogli. Ma, così facendo, pubblicare un romanzo – o una raccolta di racconti, o un saggio, o un libro di poesie – è qualcosa che chiunque può fare, indipendentemente dalla sua preparazione.
Ehi, ma sapete che, a pensarci bene, quella dell’editoria a pagamento potrebbe anche essere una gran bella idea? Quasi quasi metto su una federazione calcistica a pagamento, con allenatori quindicenni, centravanti sessantenni e mediani fumatori. Unico requisito per entrare in squadra? Mille euro. E poco importa se svirgolate ogni pallone o se le ginocchia vi fanno crac al 2° minuto di gioco; volete mettere la soddisfazione di scrivere sul vostro profilo Facebook di essere dei calciatori? Anzi, adesso mi sa che fondo anche un teatro dell’opera a pagamento. Siete stonati come una campana? Siete sfiatati e avete la voce rauca? Tranquilli, con soli mille euro potrete essere i protagonisti di un’opera lirica. L’opera lirica a pagamento. E il discorso, perché no, potrebbe estendersi alla discografia: volete incidere un disco ma non sapete leggere uno spartito? No problem, fatemi un bonifico e fra tre mesi il vostro cd sarà in vendita sui cataloghi online e in un paio di negozi di musica della vostra città.
Ironia a parte. Pubblicare un libro, lo ripeto ancora una volta, è diventato facile come fischiettare o come bere un bicchier d’acqua. Ovvero: tira un sasso e beccherai un romanziere, tirane due e beccherai anche un poeta. Basti considerare che, soltanto in Italia, ogni giorno vengono pubblicati all’incirca 150 libri (vale a dire che, rispetto a una settimana fa, abbiamo qualcosa come 300 poeti e 600 romanzieri in più). Ma a quale prezzo? Mille euro? No, molto più di mille euro in realtà, perché il prezzo che stiamo pagando è quello di stare svalutando le pagine dei libri in pezzi di carta senza alcuna importanza, in prodotti usa-e-getta. In qualcosa, cioè, di molto simile alla carta igienica.
Andrea Corona