Sono anni che i cittadini della Val di Susa protestano contro una infrastruttura nata per collegare l’Italia ai corridoi europei e per favorire lo sviluppo economico del mercato unico.
Periodo dopo periodo, a riprese, la vicenda è stata riproposta dai media e, onestamente, non è stata un grande esempio di buona politica pubblica.
Generalmente, esistono due metodologie di approccio alle politiche territoriali. La prima le vuole come la “manna”, calate dall’alto a prescindere che esse siano ritenuti utili, o meno, dalla popolazione locale. La seconda le vuole costruite dal territorio e per il territorio…
E’ evidente che la TAV piemontese sia una “manna avvelenata” che fomenta proteste continue, che esaspera un territorio di confine e ne snatura ambiente e società.
E’ un’opera utile e necessaria, sostengono alcuni. E’ antieconomica e sgradita, per diversi motivi, affermano altri. Chi ha ragione? E’ difficile a dirsi.
Una cosa certa è che agli abitanti della Val Susa la Tav non serve. Sono mesi che la politica nega un confronto leale. Eppure non è compito della politica costruire forme di dialogo con i territori e proporre forme di compensazione a “interventi” che gravano su alcuni per servire altri?
La grande velocità ferroviaria sarà fatta, ma i danni sociali saranno conteggiati nei costi del progetto?
La violenza non serve, ma serve affermare che la violenza non serve e non proporre una valida alternativa non violenta?
Se questa è la TAV preferisco essere italiano e stare al fianco di una comunità che, tra i mille campanili nazionali, rivendica rispetto.
La TAV non è proprio il treno dei desideri. Eppure questo dovrebbe far riflettere sul come sia cambiata la percezione del “progresso” a livello sociale.
Una volta l’arrivo del treno era una festa. Si poteva viaggiare meglio. Gli acquedotti, la rete elettrica e tante altre infrastrutture venivano salutate con gioia dalle popolazioni locali. Progresso e benessere erano coniugi felici.
Oggi, siamo al divorzio acclarato. Gli eccessi di un progresso smodato e irrispettoso dell’uomo e dell’ambiente hanno determinato diffidenza, sospetto e malcontento.
L’evoluzione tecnologica e del sistema industriale non rende più felici e a volte giustifica il desiderio di “sentirsi realmente arrabbiati”.