Considerate se questo è un uomo, che lavora col fango, che non conosce la parola data, che intriga alle spalle dei lavoratori, che disdice gli accordi, che scappa con la cassa, che svende la nazione. Marchionne sta facendo tutto questo contro l’Italia eppure stampa, politica, istituzioni ed un variegato parterre di lacchè di concetto e di scarso intelletto, soprattutto del management finanziario e del mondo universitario, continuano a parlare di lui come l’Uomo del giorno nuovo, simbolo di modernità e di progresso, di colui che ha rifiutato gli aiuti di Stato per riportare il mercato al centro del sistema e ridare speranza ad un paese impastoiato all’assistenzialismo e all’invasività dello Stato nella libera intrapresa. Dopo essersi scontrato coi sindacati e con la Confindustria, fatto la voce grossa col governo, imposto alle maestranze condizioni contrattuali assolutamente vessatorie, in nome di un fantomatico bene nazionale troppo vicino al valore delle sue stock option, promesso investimenti a pioggia e dato poche gocce di sudore per la ricerca e l’innovazione, proposto piani di rilancio rivoluzionari ma concretizzato esclusivamente restyling di precedenti modelli, chiude le fabbriche e fugge col bottino perché le sue auto non si vendono e la concorrenza nemmeno si preoccupa della sua presenza. E non si tratta di aspettare l’annuncio ufficiale del grande addio che non farà disperare nessuno. Fiat è già una fabbrica straniera che preferisce produrre all’estero e affermarsi su quelle piazze emergenti ed in piena crescita dove c’è spazio per tutti, almeno per il momento. Ma se pensate che abbondonerà l’Italia potete scordarvelo. Resterà qui a svolgere quel ruolo di guastatore e di provocatore che gli statunitensi le hanno affidato. Marchionne ama ripetere che la sua azienda è una multinazionale e non un ente di mutuo soccorso che può scendere a patti con la Fiom per trasformare il lavoro alla catena in una vacanza Valtur. Sarà pure, ma questo presunto player intercontinentale riesce a smerciare i suoi macinini solo sul mercato brasiliano che è così vasto da accettare tutti, belli e brutti, e ci vorrà ancora del tempo prima di rovinarsi il nome ed essere marginalizzati anche da quelli parti. Fiat ha il motore in panne e sopravvive perché Obama ci ha messo la faccia, i soldi e qualche retropensiero politico. E’ notizia di ieri che Morgan Stanley vede nero nel futuro del Lingotto. Il downgrading è imminente, come si legge dal rapporto rilasciato il 30 novembre poiché “pensiamo che Fiat può sopravvivere ad una nuova recessione potenziale dell’UE, ma a costo di un ulteriore ritardo negli investimenti essenziali [che non ha mai fatto]. Per Fiat potrebbe essere necessario un nuovo piano per aumentare la sua competitività”. Ma senza liquidità quello che resta a Marchionne è soltanto il suo potente sponsor d’oltreatlantico e le relazioni finanziarie che finora lo hanno tenuto al riparo dal collasso su tutta la linea, di montaggio e di sciacallaggio. Questo dovrebbe aprire gli occhi agli italiani che ancora nutrono qualche speranza su “Fabbrica Italia”, la quale, stando ai dati e alle previsioni, è ovviamente un bluff per tenere sulla corda tutto il Paese. La presenza di un esecutivo tecnico, in questa particolare fase storica, fa il gioco del Ceo Canadese che, per esempio, può annunciare più facilmente la chiusura degli stabilimenti, come quello di Termini Imerese (a chi tocca poi?), senza passare per estenuanti trattative con la politica. I partiti non si sentono responsabili di niente e non temono di perdere voti, poiché le decisioni impopolari vengono prese da un grigio burocrate della finanza internazionale che si eclisserà quando il suo compito sarà esaurito. Poi torneranno ancora loro ad amministrare l’esistente che non basterà più ad assicurare l’esistenza di nessuno. In Europa non c’è ciccia per la Fiat scalzata da Volskwagen, che investirà oltre il triplo di Torino in ricerca e sviluppo nei prossimi cinque anni e da altre omologhe come Renault che fino al 2013 spenderà 5,7 mld di euro “senza chiudere siti e cancellare posti di lavoro”. Esattamente il contrario di quanto accade in casa nostra. Chi fa il nome di Marchionne per segnalare la presenza in Italia di talenti ed eccellenze che ci salveranno dal tracollo è ovviamente complice. Non tanto del pupillo di Obama, ma di questo clima pestilenziale che ci sta scaraventando la crisi tra capo e collo, perchè siamo appena all’inizio ed il peggio deve ancora arrivare. I torturatori sono tra di noi e non sappiamo ancora riconoscerli.