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Se Sergio Romano smonta il mito di Che Guevara…

Creato il 05 ottobre 2013 da Uccronline

Che Guevara 

di Sergio Romano*
*storico e diplomatico

da “Il Corriere della Sera”, 25/09/13

 

Non sono mai riuscito a dividere il mondo della storia in buoni e cattivi. Non saprei criticare Tito senza riconoscergli il merito di avere guidato la lotta contro le forze tedesche e italiane durante la Seconda guerra mondiale e di avere coraggiosamente sfidato l’imperialismo sovietico dopo la fine del conflitto. Non saprei parlare male di Stalin senza aggiungere che costruì un grande Stato, incarnò il sentimento nazionale, trascinò il Paese alla vittoria contro la Germania nazista. Non saprei denunciare le colpe e gli errori del fascismo senza ricordare che molte delle sue istituzioni sono state ereditate e conservate dall’Italia democratica. Non saprei descrivere la tirannia di Fidel Castro senza aggiungere che ha liberato la sua isola dalla sudditanza americana. Non saprei evocare il Nixon del Watergate senza ricordare che il suo viaggio a Pechino, nel febbraio del 1972, aveva schiuso nuove prospettive di dialogo internazionale. Di Bastianini mi piacciono la sobrietà di cui dette prova durante qualche difficile passaggio della storia italiana e il tentativo di strappare gli ebrei di Salonicco alla loro tragica sorte. Di Milovan Djilas mi piacciono la lucidità con cui denunciò le storture del regime e la fierezza con cui sopportò gli anni di prigione.

Mi è molto più difficile trovare qualcosa di veramente e durevolmente positivo nella vita politica di Che Guevara. Era coraggioso, ma incostante, politicamente instabile, soggetto a crisi umorali, capace di azioni inutilmente crudeli. Il suo tentativo di provocare una grande rivolta contadina nell’intero continente latino-americano fu un clamoroso esempio di ignoranza politica. La sua avventura boliviana fu una iniziativa donchisciottesca. Il suo volto domina ancora la Piazza della Rivoluzione, nel centro dell’Avana, e può dare la sensazione che il Che sia sempre il nume tutelare del regime. Ma Castro fu felice di sbarazzarsi di un compagno ingombrante e imprevedibile. Il suo volto sulle magliette è soltanto folclore rivoluzionario e il suo mito in alcuni ambienti giovanili mi sembra una infatuazione politicamente diseducativa.


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