Da quanto risulta attraverso un articolo a firma di Elvis Lucchese sul Corriere del Veneto, la rosa a disposizione delle celtiche d'Italia dovrebbe passare da 40 a 44 elementi, gli stranieri dovrebbero essere impiegati secondo le regole internazionali, mentre i club potrebbero gestire le trattative contrattuali con i giocatori. E ancora, accademie giovanili che gravitino attorno alle società con sbocchi nel campionato nazionale. Il condizionale va adoperato d'obbligo, perché se - come si dice - il presidente federale Giancarlo Dondi ha dato il via libera ("ora c'è una settimana per passare dalle parole ai fatti", ha pragmaticamente precisato Zatta), si tratterebbe di un totale cambiamento dei rapporti tra le parti in causa, giunto da un momento all'altro. Non è per fare quelli che vogliono mettere zizzania, semplicemente si tenta di tirare le fila del discorso. Perché il prezzo che pagherebbe la Fir sarebbe la decentralizzazione e fino a due giorni fa l'intento amministrativo era l'opposto. Attendiamo.
C'è dell'altro, in particolare questo articolo di Mick Cleary del Telegraph che seguendo i Saracens nella loro trasferta in Veneto in Heineken Cup si è intrattenuto con John Kirwan e i due hanno discusso. E il cronista inglese ha affrontato le esternazioni del chief executive della Premiership, Mark McCafferty, che vorrebbe tanto che la ERC modificasse la consistenza delle "nazioni" nel torneo europeo. Tenta di tirare l'acqua al proprio mulino da pezzo grosso del rugby inglese che è rimasto appeso ai Sarries in Heineken: maggiore presenza di team inglesi - scommettiamo che la risposta da angoli come Leicester e Northampton sarebbe: ok, grazie, ma prima di tutto rivediamo il modello salary cap?
A conti fatti, la rappresentanza celtica (punto di partenza del ragionamento lungo le coste della Manica è che il Pro12 non prevede retrocessioni a differenza di Premier e Top 14) arriva a quota 11, attualmente: quattro irlandesi, tre gallesi, due scozzesi e due italiane. Ecco, le italiane, quando invece Inghilterra e Francia sono rispettivamente a sette e sei. Poi i risultati sul campo ridimensionano le quote. Più o meno: perché se ai quarti ci sono più celtiche che francesi o inglesi è perché le prime vincono i match che devono vincere e fanno sgambetti tipo il Connacht che - alla sua prima in HCup - batte gli Harlequins. Non dipende esclusivamente dalla maggiore difficoltà e competitività dei campionati inglese e francese: quando le cose vanno bene, il problema non viene mai a galla, anzi si esalta la professionalità (che non è messa minimamente in discussione) dei club di Premier sui diversi fronti della stagione agonistica.La meritocrazia se l'è meritata la formazione di Galway, che pur essendo ampiamente fuori dai giochi ci ha messo la voglia, la determinazione e l'orgoglio e ha portato a casa il risultato. E' lo stesso ragionamento che Cleary adopera per giustificare la presenza delle italiane in coppa, per di più del Treviso che a Monigo ha messo paura, molta paura, ai Saracens all'ultimo turno, ha pareggiato con gli Ospreys e ha vinto con il Biarritz.