Magazine Diario personale

Se tu fossi qui

Da Romina @CodicediHodgkin

Se tu fossi qui, io potrei togliere per un po’la maschera da donna adulta che non sono e tornare a sentirmi piccola con te che sei sempre stato il solo a trattarmi per l’età che avevo e non per quella che ai più faceva comodo fingere che avessi.

Se tu fossi qui, ti racconterei tutte le novità di questi oltre cinque anni senza te.

Se tu fossi qui, seduto sulla TUA poltrona in camera di Claudia a raccontarle la storia di Pisin Pisino ci saresti TU, non io. Gli elastici in tasca per tenere insieme i mazzetti di fiori li avresti TU, non io. Daresti alla gnoma buffi soprannomi e sicuramente le diresti che ha i capelli color ghiretto.

Se tu fossi qui, io mi sentirei più libera di sentirmi sopraffatta e spaventata perché saprei che sei grande e forte anche per me, e dalla paura che a volte ho, potrei stornare quella di non essere presa in considerazione quando dico di essere preoccupata o aver paura.

Se tu fossi qui, ti chiederei scusa per aver sempre pensato che dicessi una sciocchezza quando ci raccontavi che nel lago di Bolsena, durante la guerra, cadde un aereo americano che, nonostante le ricerche, non venne mai ritrovato. Lo hanno trovato, nonno, credo ormai almeno un paio di anni fa.

Se tu fossi qui, io non sarei seduta sul letto a scrivere con il foglio in bilico su un quadernone ad anelli, all’1:20 di notte, usando la luce da libro per non disturbare Alfa, che si è già svegliato quando ho tirato sul col naso per la centesima volta.

Se tu fossi qui, parleremmo di trent’anni di errori. Degli errori dei grandi che hanno pagato i piccoli. Di quelli che non sono errori perché sono stati commessi in cattiva fede da chi si professa santo. Degli errori che hai cercato di tamponare. Di quelli che hai commesso tu, sacrificando – secondo me lo sapevi – tutto quello che avevi costruito in una vita di lavoro pur di mantenere almeno una pace armata. Parleremmo degli errori che non ho avuto il tempo di commettere. E parleremmo a cuore aperto, senza filtri, perché io ora sono grande e tu sei libero. E forse, per una volta, invece che essere sempre tu a capire gli altri, potresti spiegare te stesso e io, che chiudo la vecchia guardia dei piccoli, potrei toglierti dalla schiena massacrata qualche peso.

Se tu fossi qui, avresti già capito dove voglio andare a parlare anche se non lo so nemmeno io, e lo avresti capito prima ancora che io iniziassi a perder colpi.

Se tu fossi qui, parleremmo di politica come facevamo sempre. No. Meglio di no. Se ti raccontassi cosa è successo dal 2010 ad oggi moriresti un’altra volta per un colpo secco.

Se tu fossi qui, fisserei per ore la tua pelle liscia anche a 90 anni, i tuoi occhi verdi e il tuo naso aquilino, e ti direi che sei bellissimo, che sei il mio eroe, che ho bisogno di te e che mi manchi da morire. E tu, che finora sei stato sulla tua poltrona, inclinato sulla sinistra, con la mano a coprirti il viso, ora scoppieresti a ridere e mi diresti che che sono una stupida. Ma sotto sotto saresti anche orgoglioso, perché lo sapevi di essere quel che eri. Mi diresti che era normale che succedesse, che eri vecchi e stanco, e che era giusto che morissi. Per carità, non ho mai pensato che mi avresti accompagnata fino ai sessant’anni ma ventisei anni non mi sono bastati, mettici una pezza.

Se tu fossi qui, io – ora che nonna sbiadisce e che altri nodi si sciolgono allungando i fili e allontanandoli da me senza una spiegazione- io avrei ancora una radice. Un laccio tra me e quella parte che voglio rimanga.

Se tu fossi qui, ti racconterei della volta che sognai che tenevi un neonato in braccio e mi dicesti che lo stavi scaldando. E ti racconterei di come così fu meno doloroso svegliarsi col sangue alle ginocchia.

Se tu fossi qui, parlerei fino allo sfinimento, con la certezza di non essere liquidata perché io sono “quella forte” (ma chi l’ha deciso, poi?) e devo essere sempre un treno e non avere mai un momento di nostalgia o qualsiasi cosa sia questa.

Se tu fossi qui, io ritroverei quella liberatoria facilità di essere debole che mi concedevi.

Chi muore giace e chi vive si dà pace, dicono. Anche perché, parliamoci chiaro, avevi novant’anni, non è che la tua morte sia stata esattamente prematura. Niente di più naturale di una nipote che deve salutare il nonno. E poi, insomma, dopo cinque anni sarebbe ora di non accorarcisi ancora così, forse. Eppure, vorrei che fossi qui.


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